Nasce l’Associazione “VINCERE LA PAURA”. La censura islamica verso l’Europa, jihad e contro-jihad legale

di Valentina Colombo

PRESIDENTE: VALENTINA COLOMBO

SOCI FONDATORI: VALENTINA COLOMBO, AVV. GABRIELE GATTI, AVV. TOMMASO MONFELI, AVV. SARA OCCHIPINTI, AVV. ROBERTO PONTE, AVV. GHERARDO FIUME, AVV. GIOVANNI FORMICOLA, AVV. RITA SERMONETA

SEDE: VIA BENEDETTO MARCELLO, 26, 20124 MILANO

TEL 345 6944633

SITO INTERNET: www.vincerelapaura.org

Quando si parla di censura in nome dell’islam verrebbe d’istinto pensare solo ai paesi a maggioranza musulmana che, soprattutto dopo la cosiddetta primavera araba e l’ascesa al potere in Egitto e in Tunisia di partiti legati al movimento dei Fratelli musulmani, sono passati da una censura di regime a una censura in nome della religione. Purtroppo questo tipo d’imbavagliamento della classe intellettuale, e non solo, da parte dell’estremismo islamico sta arrivando anche in occidente. Qui chiunque attacchi un rappresentante dell’estremismo islamico o che non si attenga all’islamicamente corretto viene regolarmente denunciato e condotto innanzi a un giudice. Se uno dei vantaggi del jihad con le armi è quello di essere palese e quindi di essere facilmente riconoscibile, esiste quindi un altro tipo di jihad ben più subdolo, quello che si svolge nelle aule dei tribunali. Chiunque, giornalista, politico o avvocato che sia, si occupi di islam rischia di venire citato in tribunale per “oltraggio nei confronti di un gruppo di persone in ragione della loro religione” e di essere accusato di “islamofobia”.

Uno degli esempi più significativi è stato il processo intentato nel 2006 in Francia dall’Unione delle Organizzazioni islamiche di Francia (UOIF) e dalla Grande moschea di Parigi contro la rivista satirica “Charlie Hebdo” per avere ripubblicato le vignette danesi su Maometto poiché il numero dell’8 febbraio 2006 “si presenta come un atto deliberato di aggressione che mira a colpire i musulmani nell’attaccamento comunitario alla loro fede”[1]. Nel marzo 2008 la corte d’appello di Parigi ha respinto ogni capo d’accusa poiché le caricature “che si riferiscono chiaramente a una frazione e non all’insieme della comunità islamica, non costituiscono un oltraggio, né un attacco personale e diretto contro un gruppo di persone in virtù della loro appartenenza religiosa e non valicano il limite ammesso della libertà di espressione.”

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