Nel nome del Profeta tutto è ammesso : Daniel Pipes

Man mano che le folle musulmane si disperdono e le missioni diplomatiche tornano alle loro attività ordinarie, ecco tre considerazioni finali sui disordini iniziati l’11 settembre scorso e che hanno fatto una trentina di vittime. L’amministrazione Obama ha aggirato in modo sleale la responsabilità dell’uccisione di quattro americani in Libia sostenendo che l’attacco sia stato una protesta contro il video L’innocenza dei musulmani che imprevedibilmente è sfuggito di mano. In risposta, importanti analisti hanno arguito che il video ha avuto ovunque poca importanza. Barry Rubin è sprezzante riguardo al film che considera «un falso pretesto per le manifestazioni» in Egitto. Michael Leeden rimprovera all’amministrazione di aver asserito «che gli attacchi contro gli americani non sono affatto degli attacchi sferrati contro gli americani, ma contro un video». «Non si tratta di un video – scrive Andrew McCarthy – più che altro negli ultimi anni episodi simili hanno riguardato le vignette satiriche, gli orsacchiotti, i roghi accidentali del Corano e molto altro.» Hussein Haqqani chiosa che le proteste sono «una funzione della politica e non della religione». Per Victor David Hanson, il video e gli episodi di protesta «non sono altro che crudi pretesti per rivolgere contro gli Stati Uniti la furia scatenatasi fra le loro masse ignoranti e impoverite e quindi ottenere potere». Lee Smith ipotizza che «incolpare il filmato fa parte di qualche complessa campagna diplomatica pubblica». Cliff Kinkaid definisce in modo categorico il film «una digressione per salvare la presidenza di Obama».

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