Nelle prime storie Tarzan credeva in Dio, ma i film e i cartoni animati che lo hanno reso celebre hanno nascosto questo particolare

L’eroe della foresta si imbatté nella parola ”God” (”Dio”, in inglese): di lì ebbe inizio una ricerca che lo portò a scoprire la pietà per il nemico.

di Roberto Zanini

«Sì, Tarzan aveva trovato Dio e trascorse la giornata ad attribuirgli tutte le cose belle e giuste della natura. Ma c’era una creatura che lo turbava. Non riusciva a conciliarla con l’idea di questo Dio appena scoperto. Chi aveva creato Histah il serpente?». È il finale di uno dei dodici racconti di Tarzan contenuti in quello che è forse il libro più famoso che narra le vicende dell’eroe della foresta: Racconti della giungla. Uscito nel 1919, dedicato alle esperienze ‘giovanili’ di Tarzan, era servito al suo autore, Edgar Rice Burroughs, a rinsaldare la fama che si era creata intorno al suo personaggio, nato col racconto Tarzan delle scimmie pubblicato nell’ottobre 1912 sulla rivista The all-story. Una raccolta che da sempre la critica considera la più riuscita della saga dell’uomo scimmia e che i fumettisti hanno subito eletto come la più efficace per impatto immaginifico e narrativo, fra tutti i 28 libri su Tarzan usciti dalla penna di Burroughs e tradotti in 50 lingue. Per non dire di cineasti, sceneggiatori televisivi e ‘creatori’ di cloni (invariabilmente catalogati come ‘tarzanidi’) capaci di produrre su Tarzan almeno una trentina di film, decine di serie televisive e di cartoni animati, fissando il personaggio nell’immaginario del XX secolo e chissà di quanti secoli ancora. Un’immaginario collettivo nel quale, tuttavia, non sembra mai entrato il racconto nel quale Tarzan scopre l’esistenza di Dio. Si intitola Il Dio di Tarzan e viene riproposto da Donzelli Editore, in occasione dei cento anni dalla nascita dell’uomo scimmia, nell’originario volume Tarzan.
Racconti della giungla, impreziosito da numerose illustrazioni di Burne Hogarth: il fumettista morto nel 1996, capace di dare negli anni ’30 a Tarzan quelle fattezze dalle quali nessun altro si è più discostato. Ma come fa il giovane Tarzan, rampollo di una nobile famiglia britannica, ma cresciuto da una scimmia nell’impenetrabile foresta africana, a scoprire Dio? La fervida fantasia di Burroughs si affida all’innata presenza divina nell’anima di ogni uomo e al singolarissimo escamotage dei… libri del padre. Tarzan, infatti, torna spesso alla capanna in cui le scimmie lo hanno preso dalla culla dopo che i suoi genitori erano stati uccisi. Qui è attratto dai libri di suo padre, in particolare un dizionario inglese, e con la curiosità propria di ogni ragazzo, cerca di muovercisi dentro: «Con grande fatica e usando anche infinita pazienza, egli era riuscito senza aiuto alcuno a scoprire la funzione di quei piccoli insetti che scorrazzavano per le pagine stampate. Aveva imparato che nelle molteplici combinazioni parlavano un muto linguaggio». Gli insetti, naturalmente, sono le lettere dell’alfabeto. Le maiuscole sono per lui insetti maschio. Le minuscole insetti femmina.
E quando si imbatte nella parola God la sua curiosità si acuisce. Un po’ perché è la più corta che ha potuto osservare; un po’ perché «iniziava, in quel dizionario, con un insetto-g maschio molto più grande di quelli intorno»… potenza dei segni; un po’ «per il gran numero di insetti maschio che comparivano nella definizione: Divinità Suprema, Creatore, Padrone dell’Universo, Onnipotente…». Insomma, «God doveva essere assai importante». E se ne convince ancor di più quando nota che in altri libri a quella parola si associano immagini di grandi edifici. Forse, deduce, God è un grande condottiero. Mai però si imbatte in qualcosa che gliene mostri le sembianze. Chiede alle scimmie anziane, che però non possono capire. Spia il villaggio dei «neri» indigeni e gli pare di individuare God nello stregone. Ma siccome God non potrà essere mai forte come Tarzan, il più forte della giungla, lo sfida a viso aperto. È in questa sfida, come per tanti personaggi biblici, che Dio comincia a rivelarsi. Nella colluttazione col capo villaggio che ne segue, Tarzan ha presto il sopravvento, ma quando sta per uccidere, secondo il suo istinto, per la prima volta si commuove nell’osservarne quel volto che implora pietà e la sua mano non riesce a calare il fendente decisivo. Nella giungla, il giorno dopo, il grande serpente rapisce il figlio di Teeka, la scimmia femmina con la quale ha diviso i giochi di bambino. Tutte le scimmie fuggono ma Teeka si getta fra le spire del serpente per salvare il figlio. Lui fa lo stesso per salvare Teeka. Missione impossibile che però a Tarzan riesce. Ma perché Teeka «si è lanciata contro il terribile Histah» sacrificandosi per salvare il figlio? Perché lui lo ha fatto per Teeka? E che cosa mai aveva potuto fermare la mano di Tarzan dall’uccidere quell’uomo? «Cosa lo spingeva a fare quelle cose? Qualcuno più forte di lui doveva costringerlo ad agire, certe volte. ‘Onnipotente’ pensò Tarzan», tornando con la mente alla sequenza di «insetti grandi» che segue la parola God.
Non posso vederlo ma «io so che deve essere God a fare certe cose». Un racconto immaginifico di grande efficacia simbolica. na catechesi straordinaria e disarmante. Ed è forse persino superfluo chiedersi perché se ne sia perduta traccia nei film, cartoni e telefilm che hanno reso immortale Tarzan.

Fonte: Avvenire, 13/03/2012

Fonte: BASTABUGIE.

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