Incredibile! La Nigeria afferma d’aver concluso un cessate il fuoco coi terroristi islamici di Boko Haram: le trattative si sarebbero svolte in Arabia Saudita, alla presenza del Presidente del Ciad, Idriss Deby, nonché di alti funzionari del Camerun. Il primo segretario della Presidenza, Hassan Tukur, ha dichiarato che il tutto sarebbe avvenuto «
in seguito alle discussioni intrattenute con noi», benché questo appaia alquanto improbabile. Nessuno festeggi dunque, non si tratta di una vittoria, semmai di una resa. Come si intuisce anche dal fatto che la possibile liberazione delle 219 liceali rapite a Chibok lo scorso 14 aprile sia stata prima annunciata dal governo federale e poi smentita, a conferma di una gestione della questione a dir poco pasticciata. Ma l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali, a febbraio, potrebbe accelerare le negoziazioni, pur di portare a casa il risultato. Il Presidente uscente, Goodluck Jonathan, infatti, ha annunciato di volersi ricandidare, sebbene questa volta il Nord-est sia esasperato dagli scontri e si senta anche abbandonato dalle istituzioni, per cui difficilmente gli riconfermerà il voto. Ed anche nel resto del Paese, il problema legato alle questioni della sicurezza tiene banco. Al punto da far dubitare che l’accordo divulgato ai quattro venti sia stato sancito veramente.
Soltanto lo scorso gennaio il generale Alex Badeh, appena promosso Capo di Stato maggiore dell’esercito, aveva promesso che con Boko Haram «
l’avrebbe fatta finita in poco tempo». Questo presunto accordo giunge a sancire il fallimento della sua strategia, stante la disastrosa, ma progressiva affermazione dei ribelli, avvenuta nel corso dell’anno nel Nord del Paese. Ciò, nonostante la schiacciante minoranza numerica: tra i 6 e gli 8 mila insorti contro i 20 mila soldati delle forze armate, nigeriani e non. La corruzione dilagante nella Nazione ha peraltro distolto parte dei capitali destinati alla lotta antiterrorismo, tanto da indurre già centinaia di militari a rifiutarsi di andare a combattere solo per una pacca sulle spalle.
Già lo scorso 18 settembre il Vescovo cattolico, mons. Oliver Dashe, preoccupato, lanciava l’allarme: 25 città del Nord-est erano passate sotto il controllo di Boko Haram, facendo precipitare la sicurezza nell’intera area. Numerosi sono stati gli attentati compiuti dall’inizio dell’anno: quello alla stazione degli autobus ad Abja il 14 aprile, che costò la vita a 75 persone; le due autobombe esplose a Jos in pieno centro, 118 morti; una serie di massacri nei villaggi, con diverse centinaia di vittime. Poi in agosto, il leader della banda degli insorti, Abubakar Shekau, dopo aver conquistato la città di Goza, autoproclamò il “califfato islamico”. A fine settembre aveva completamente circondato la capitale dello Stato federale del Borno, Maiduguri.
Già lo scorso 19 giugno su La Croix Roland Marchal, ricercatore al CNRS francese, ipotizzava che le studentesse tenute in ostaggio potessero essere scambiate con prigionieri e denaro, ma non se ne è mai fatto nulla. Non si saprà mai cosa sia realmente successo. Né al momento si conosce l’identità di Danladi Ahmadu, l’interlocutore all’interno di Boko Haram, contattato dal primo segretario alla Presidenza, Hassan Tukur: «Io non ho mai sentito parlare di questo signore ed, in ogni caso, se Boko Haram volesse dichiarare realmente un cessate il fuoco, l’ordine giungerebbe direttamente dal loro capo, Abubakar Shekau», ha dichiarato Shehu Sani, specialista di Boko Haram, con cui ha negoziato già diverse volte, a fianco del governo nigeriano.
Insomma, la situazione resta incandescente ed è meglio non farsi troppe illusioni.