Non c’è pace per il Centrafrica

Dal 24 marzo, giorno in cui i ribelli della coalizione Séléka hanno preso il potere, si susseguono in tutta la repubblica centrafricana saccheggi, aggressioni, violenze sui civili e, in particolare, sulle comunità cristiane. «La situazione – denuncia un duro messaggio inviato all’agenzia Fides dalla Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale locale – è peggiorata profondamente con l’avvento al potere del leader ribelle che si è autoproclamato presidente». Il riferimento è a Michel Djotodia, capo della coalizione, che, a detta dei vescovi, non sarebbe in grado di gestire la delicata fase di transizione. Secondo i prelati si è instaurato «un clima malsano» favorito «dall’assenza dell’amministrazione, dalle violazioni dell’ordine costituzionale e dei diritti umani».

Una situazione che trova conferma nelle testimonianze dei missionari che lavorano sul territorio. «Le milizie – spiega una fonte locale che vuole rimanere anonima per ovvi motivi di sicurezza – sono fuori controllo. Non rispondono al presidente, ma solo ai loro capi. Così è capitato che nelle scorse settimane nei villaggi siano arrivati, a ondate successive, numerosi gruppi di ribelli. Alcuni di questi hanno saccheggiato e devastato quanto potevano. Altri invece si sono limitati a sostare senza danneggiare alcunché. Questo, da un lato, dimostra che non ci sono direttive univoche dal vertice, dall’altro, che il Paese è in preda all’instabilità».

La maggior parte di questi ribelli è straniera (provengono da Ciad e Sudan) e non parlano il sango, la lingua locale. Quasi tutti sono musulmani e ciò, unito al fatto che sono state attaccate alcune comunità di religiosi e religiose, alimenta il sospetto che dietro al golpe ci siano disegni di islamizzazione del Paese. Nelle settimane scorse è circolato in Internet il testo di una lettera in cui il presidente Djotodia chiedeva aiuto all’Arabia Saudita per conquistare il Centrafrica e farlo diventare una nazione islamica. Probabilmente si tratta di un falso, ma ha aumentato la diffidenza dei cristiani nei confronti della nuova classe politica. «Nei decenni passati – continua la nostra fonte – non ci sono mai state tensioni di carattere religioso. Le comunità hanno sempre convissuto pacificamente. Però già a partire dal 2003, quando con un golpe prese il potere François Bozizé con il sostegno del vicino Ciad, i rapporti tra cristiani e musulmani iniziarono a deteriorarsi. Oggi queste tensioni sono aumentate e sono palpabili. Speriamo che cessino nel più breve tempo possibile perché non fanno che esasperare gli animi e portano a vendette reciproche. Le armi purtroppo sono dappertutto e, in questa fase di instabilità, un vasto processo di disarmo è tutt’altro che semplice. Nei religiosi è grande la paura. Si temono i saccheggi, ma anche le violenze sulle suore».

Su questo tema è intervenuto di recente anche mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui. «Séléka vuole imporre l’islam nel Paese? – si è chiesto il prelato -. Ho avvertito questa paura nei miei collaboratori e ho girato la domanda ai responsabili del movimento ribelle. A loro spetta di dire chiaramente quali sono gli obiettivi politici e non religiosi. Se non si esprimessero su questo punto, potrebbero lasciar intendere che sono complici di questo processo di islamizzazione. Non voglio avventurarmi su questa strada e pensare che essi ragionino secondo questa logica. Io sono stato chiaro, l’ho detto e l’ho ridetto: i responsabili politici del nostro Paese dovrebbero invitare tutti gli stranieri che hanno sostenuto la ribellione a rientrare nei loro Paesi, a gettare le armi e a lasciare tornare i centrafricani alle loro occupazioni».
Enrico Casale

Fonte: Non c’è pace per il Centrafrica.

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