Non si spegne la speranza di riabbracciare padre Paolo Dall’Oglio

(Milano/c.g.-m.b.) – A un mese dal suo rapimento, ancora nessuna notizia certa su padre Paolo Dall’Oglio, gesuita italiano ri-fondatore del monastero di Mar Musa in Siria, sparito lo scorso 29 luglio nel governatorato di Raqqa. Due video, a quanto pare girati la sera del 28 luglio e postati su Internet, lo ritraggono a Raqqa in occasione di una manifestazione dell’opposizione per la città di Homs, assediata dalle forze governative. In uno dei due video padre Paolo viene presentato alla folla e tiene un breve discorso.

Il gesuita era entrato pochi giorni prima in Siria dal confine turco. Raqqa è una delle città del nord della Siria oggi completamente governata dalle forze di opposizione. Secondo fonti dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani (ong siriana che informa sulle violazioni dei diritti umani compiute nel corso del conflitto), di padre Paolo si sono perse le tracce il 29 luglio dopo che si era recato al quartier generale dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, una delle organizzazioni che si oppongono al regime siriano con le armi. In queste ultime settimane, molti hanno manifestato per il suo rilascio in diverse città siriane (in particolare ad Aleppo e a Raqqa), senza arrendersi alle voci circolate negli ambienti dell’opposizione siriana il 12 e il 14 agosto secondo le quali il religioso sarebbe già stato giustiziato.

Gli amici di padre Paolo hanno chiesto alla dirigenza dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, che sarebbe responsabile di numerosi rapimenti in Siria, di lavorare per la liberazione del gesuita e di tutti gli altri ostaggi ancora prigionieri, fra i quali i due vescovi ortodossi di Aleppo rapiti quattro mesi fa, mons. Youhanna Ibrahim e mons. Boulos Yaziji. Anche l’Osservatorio nazionale per i diritti umani ha lanciato un appello perché tutte le forze dell’opposizione al regime si mobilitino per la liberazione di Dall’Oglio. In Italia, contemporaneamente, si sono moltiplicate le manifestazioni allo stesso scopo.

Padre Paolo svolge da trent’anni la sua attività in Siria. Un lungo periodo nel quale il monastero di Mar Musa, da lui restaurato e riportato in vita, è divenuto punto di riferimento per il dialogo ecumenico e interreligioso, luogo d’incontro frequentato da molti credenti siriani e occidentali. Da quando, all’inizio del 2011, in Siria è scoppiato il conflitto armato tra forze del regime e di opposizione, padre Paolo ha scelto di difendere le ragioni dell’opposizione. Questo suo schierarsi ha avuto come conseguenza il suo allontanamento dal Paese, in cui negli ultimi mesi è però rientrato diverse volte clandestinamente.

L’impegno di padre Paolo contro il regime del presidente Bashar al-Assad ha suscitato consensi e anche critiche dentro e fuori la Siria. Da una parte la sua azione in prima linea è stata lodata dagli oppositori al regime siriano ma ha incontrato censure e distinguo anche in seno alla Chiesa siriana e alla stessa gerarchia cattolica.

Con lo scoppio della rivolta nel 2011 i cristiani siriani, spesso riduttivamente descritti come un blocco monolitico, da alcuni come neutrali e da altri come sostenitori del regime, si sono trovati fra l’incudine e il martello della lotta fratricida che oppone sunniti e alawiti in Siria. Come gli altri cittadini, prima del 2011 i cristiani non godevano di diritti civili e politici ma hanno ottenuto dal regime una libertà di culto e una sostanziale parità sul piano sociale e lavorativo che sono sconosciute in altri Paesi arabi, come ad esempio l’Egitto, dove i copti vengono da sempre discriminati e dove dal crollo del regime di Hosni Mubarak sono stati vittime di un’escalation di violenze. In tale contesto va inquadrata la grande cautela verso la rivolta espressa in questi tre anni dalle gerarchie cattoliche e ortodosse, e da figure di spicco dell’episcopato mediorientale come il patriarca maronita card. Bechara Rai, il melchita Gregorio III Laham e il siro-cattolico Ignace III Younan.

Quest’ultimo, che è anche a capo della Chiesa in cui è incardinato padre Paolo, già nei mesi scorsi aveva preso le distanze dalla campagna animata dal gesuita italiano, invitando alla prudenza nel leggere una situazione così complessa come quella siriana: «Padre Paolo Dall’Oglio, ordinato sacerdote dalla nostra Chiesa siro-cattolica – ha ribadito di recente il patriarca in un colloquio con Terrasanta.net – ha vissuto per trent’anni in Siria, rifondando il nostro monastero di San Mosè l’Abissino (Deir Mar Musa al-Habashi – ndr), proprio perché il regime siriano, essendo piuttosto laico, ha permesso ai cristiani una certa libertà di culto e di dialogo: padre Paolo, per la cui liberazione preghiamo ogni giorno, non avrebbe potuto realizzare il suo progetto se non ci fosse stato quel tipo di regime, ispirato dall’ideologia baathista».

Fonte: Terrasanta.net.

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