Notizie PRO-LIFE: La difesa della vita ha bisogno di verità: un punto fermo per la strategia prolife. 1. Il disastro

 

Francesco D’Agostino, su Avvenire del 15 aprile, con l’articolo “L’etica essenziale” commentava la sentenza della Corte Costituzionale che ha spazzato via il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge 40 del 2004 e l’episodio di scambio di embrioni avvenuto all’Ospedale “Pertini”. L’autorevole autore osservava che i commenti eludono il “cuore della questione”, vale a dire “l’essenza del problema della procreazione assistita, che non è sanitario, né giuridico, ma etico”. 
Il prof. D’Agostino ammoniva: “di etica dobbiamo parlare, perché l’etica non trova le sue radici nelle sentenze dei giudici, ma nella verità delle cose“.

La “verità delle cose”: un richiamo forte per me, chiamato alla presidenza del Comitato Verità e Vita al posto di Mario Palmaro, che definiva la nostra associazione “una piccola compagnia di gente che non si prefigge di cambiare il mondo a colpi di male minore e di compromessi, ma affermando qui e ora tutta la verità, pur sapendo che è messa in minoranza dall’opinione pubblica”!

Ma quale è l’essenza della fecondazione in vitro, la “verità delle cose”? 
La procreazione assistita non è terapia, ma artificio; realizza sì, il desiderio genitoriale, ma col sacrificio di un numero spropositato di vite umane embrionali, create appositamente in provetta; altera i vincoli familiari (…); fa venire al mondo esseri umani per i quali la domanda identitaria fondamentale (“di chi sono figlio?”) può arrivare a non avere risposta alcuna“. 
D’Agostino concludeva richiamando ancora – due volte in una sola frase! – la verità: “La verità è che, fondandosi sul sistematico occultamento della verità generativa, la procreazione artificiale fa violenza a tutte le persone coinvolte in questa procedura“.
“È consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita”: l’essenza della legge 40 del 2004 sta in questo periodo dell’art. 1: di fronte all’alternativa tra vietare e permettere quelle pratiche, la scelta fu la seconda: “è consentito”.
Certo: quella scelta era circondata da finalità (“Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, è consentito …”), da limiti (“è consentito … alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge”) e da garanzie (“la presente legge … assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”). Sono i “paletti”, caduti velocemente uno ad uno: nessun collegamento vincolante con i problemi di sterilità di coppia, sovrapproduzione degli embrioni, diagnosi preimpianto e selezione, congelamento selvaggio, nessun diritto per gli embrioni, tutti i diritti per i desideri degli adulti (mancano alcuni paletti: ma come sperare che anch’essi non saranno travolti?); soprattutto, il sacrificio di centinaia di migliaia di embrioni creati appositamente in provetta.
Ecco che i veli cadono e la verità sulla legge 40 appare con nitidezza: una legge che non solo permette, ma riconosce come diritto garantito e finanziato dallo Stato una pratica di violenza sugli esseri umani, che si fonda sulla menzogna, presentando come terapia pratiche che – con la morte programmata di innumerevoli esseri umani – servono a soddisfare ad ogni costo i desideri – qualunque desiderio! – degli adulti.
Giunti a questo punto, una domanda provocatoria: possiamo parlare di strategie? 
Beh, direi che dobbiamo parlare di strategie, visto che la legge 40 è stata ideata, approvata e difesa, sotto la spinta del principale Movimento prolife del nostro Paese, dal mondo cattolico ufficiale, che ha ritenuto la legge sulla fecondazione artificiale “un primo passo nella giusta direzione” e che ha esclamato: “finalmente è finito il far west della provetta!”.
Il fallimento della strategia è un fatto oggettivo, di cui non si può che prendere atto: il “far west della provetta” è stato in realtà legalizzato e reso definitivo. 
Le previsioni fatte da chi ha sostenuto la legge sono state oggettivamente smentite: basta leggere le risposte ad alcune domande del Presidente del Movimento per la Vita, nel libro pubblicato subito dopo l’approvazione[1]: “La legge è anticostituzionale? No, assolutamente. È una legge antieuropea? Al contrario. Da dove risulta che la diagnosi preimpianto è vietata? Lo stesso art. 13 alla lett. b) del terzo comma vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico e il primo comma vieta la soppressione di embrioni“.

Il fallimento di una strategia – in ambiti diversi dal nostro – provocherebbe dimissioni o pentimenti pubblici; ma qui interessa piuttosto capire perché quella strategia è fallita e perché le previsioni erano sbagliate. 
Davvero possiamo rifugiarci dietro le toghe dei “magistrati cattivi e politicizzati”? 
Per quanto tempo potrà essere utilizzato il “far west” per giustificare, a decenni di distanza dall’approvazione della legge, il disastro che vediamo, il fenomeno che il prof. D’Agostino definisce di “una società che cammina a grandi passi verso la propria auto-dissoluzione“?
E tra questi “grandi passi” verso la autodissoluzione non c’è forse quel “primo passo” che – ahimè – non era affatto “nella giusta direzione”?
Due risposte possibili alle domande sui motivi del fallimento.
La prima: la legge 40 è stata frutto di una strategia ingenua, che riteneva di essere in grado di piegare a finalità “buone” (la cura della infertilità delle coppie coniugate, quindi stabili, eterosessuali, disponibili all’accoglienza dei bambini) una tecnica di origine zootecnica, sviluppata per la selezione e che quindi porta in sé sovrapproduzione, congelamento, diagnosi preimpianto, distruzione, sperimentazioni sugli embrioni. Un’ingenuità pagata a caro prezzo, con la caduta di tutti i paletti, travolti dalla potenza economica, scientifica e mediatica della fecondazione artificiale, un business enorme in tutto il mondo, capace di convincere, in un modo o nell’altro, chiunque …
La seconda: fu approvata a tutti i costi una legge di compromesso, con la consapevolezza degli effetti dell’applicazione delle tecniche – primo fra tutti: la morte di innumerevoli embrioni – nell’indifferenza verso l’obiettivo della difesa integrale della vita e della famiglia. 
Lo si fece per vincere una singola battaglia politica, disinteressandosi dell’esito della guerra.
Che questa sia la risposta esatta (che non esclude un buon tasso di ingenuità) si coglie da tanti aspetti: ad esempio dal fatto che, da molti anni, un gruppo di sinceri prolife aveva pubblicamente ammonito che “la fecondazione umana extracorporea (omologa ed eterologa) è eticamente inaccettabile in quanto viola il diritto alla vita e la dignità della persona umana; (essa) comporta la decisione di ricercare la nascita di un figlio mediante l’intervento di tecnici estranei, pur nella consapevolezza del sacrificio di embrioni fratelli; non è un trattamento terapeutico perché non cura né rimuove le cause della sterilità[2], continuando, fino all’approvazione della legge 40, a ribadire che “il riconoscimento del diritto alla vita fin dalla fecondazione è intrinsecamente impossibile usando la tecnica FIVET,  non importa se omologa o eterologa. L’aborto entro tempi in genere brevissimi di ogni concepito-in-provetta è infatti un aborto procurato, volontario e, in ultima analisi, premeditato[3]

Il Comitato Verità e Vita è stato costituito subito dopo l’approvazione della legge 40 per continuare ad affermare queste verità.

Eppure la scelta fu di permettere la fecondazione in vitro omologa e di vietare quella eterologa; disciplina giustificata con una distinzione artificiosa, non a caso oggi esplicitamente sconfessata dal prof. D’Agostino: da una parte vi sarebbe una distruzione programmata e premeditata di embrioni derivante dalla loro sovrapproduzione, congelamento e selezione, dall’altra la morte – non procurata direttamente, né programmata – della stragrande maggioranza di embrioni prima e dopo il trasferimento in utero. 
Si giunse addirittura a sostenere che “una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura. Molti muoiono anche nel caso di fecondazione naturale e comunque manca una programmazione diretta e premeditata della distruzione di nuovi esseri umani[4]: un artificio semantico, che cancellava dallo scenario centinaia di migliaia di embrioni morti dopo la produzione, ritenendo “uccisi” solo pochi di essi.
L’ipocrisia di tale posizione – che giungeva a presentare il ricorso alla fecondazione in vitro omologa nell’ambito della legge 40 come un problema di “morale cattolica” – era ben rappresentata dal numero massimo, fissato dalla legge, di embrioni producibili: tre; da esso si deduceva che uno o due embrioni prodotti erano comunque destinati alla morte. Sarebbe stata la Corte Costituzionale a svelare l’ipocrisia, individuando nella legge “un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza”[5].
Che dire poi del congelamento degli embrioni, deprecato in pubblico e permesso esplicitamente dall’art. 14, comma 3 della legge? E del mancato espresso divieto della diagnosi genetica preimpianto, tecnica ampiamente conosciuta all’epoca di approvazione della legge 40? E dell’esplicita “salvezza” delle norme della legge 194 sull’aborto anche per i (pochissimi) embrioni che fossero riusciti ad impiantarsi nell’utero materno?
Il fallimento della strategia che ha portato all’approvazione della legge 40 del 2004, a mio parere, ha una vera ed unica causa: il tradimento della verità
Si fingeva di voler autorizzare le tecniche di fecondazione artificiale per casi limitati e solo per scopi “buoni”; in realtà si accettava la logica della fecondazione in vitro e le inevitabili conseguenze che essa portava. Le sentenze dei giudici e della Corte Costituzionale sono, quindi, commentate con indignazione apparente da chi aveva previsto (o almeno: non poteva non averlo fatto) l’evoluzione in atto.
Eppure, con il Manifesto Appello del 28/2/2004, il Comitato Verità e Vita denunciava che “senza sacrificare embrioni umani non è possibile fare la FIVET omologa. Il diritto alla vita degli embrioni dei quali sia avvenuto l’impianto è violato a favore del principio di autodeterminazione della madre, in forza della confermata vigenza della legge 194/78. (La FIVET)  riduce l’uomo-embrione a oggetto da usare come mezzo per ottenere una gravidanza; incoraggia la selezione eugenetica dei concepiti per l’eliminazione dei difettosi; crea le premesse per l’uccisione dei gemelli con l’aborto selettivo – legale in forza della legge 194/78 – nel caso di gravidanze plurime. Inoltre, non è oggettivamente possibile garantire una effettiva tutela giuridica a un embrione umano che si trovi fuori del corpo della madre”[6].

E allora: quale strategia è necessaria? Lo vedremo nel prossimo articolo.

Giacomo Rocchi



[1] Carlo Casini, La legge sulla fecondazione artificiale. Un primo passo nella giusta direzione, Cantagalli, Siena, 2004
[2] Un annuncio doveroso, Studi Cattolici, novembre 1998
[3] Lettera alla Conferenza Episcopale italiana e a tutti i vescovi italiani, 1/1/2002
[4] Movimento per la Vita Italiano, Primo Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40, Si alla Vita, Agosto 2007
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 151 del 2009
[6] Manifesto Appello, Una legge gravemente ingiusta: la verità sulla fecondazione artificiale in vitro, http://www.comitatoveritaevita.it/pub/nav_Manifesto_Appello.php

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