Obama fa il duro con i cristiani. Poi china il capo ai cinesi | La Nuova Bussola Quotidiana

di Luigi Santambrogio  07-02-2015

Gran cuor di leone questo Barack Obama, presidente riluttante. Dapprima incerto, come l’Ecce Bombo di Nanni Moretti, se farsi notare di più tacendo o presenziando, da tempo ha deciso di sfilarsi da tutto e di disertare gli appuntamenti con la storia. Dalla Siria all’Iraq, dove vado, non bombardo e torno, oppure dall’Iraq alla Siria dove torno, non-bombardo e vado, così come sulle grandi riforme della politica interna. Ha stabilito che le sue assenze sono più interessanti delle sue presenze e hanno il doppio vantaggio di limitare i danni. Comunque, l’altro giorno, incontrando i rappresentanti delle religioni, il presidente dell’impero americano ha di nuovo ritrovato la voce grossa, ne ha avute per tutti: dal cristianesimo agli induisti, dall’islam a Buddha, dagli evangelici, ai protestanti, dai mormoni fino agli avventisti del settimo giorno. Senza peli sulla lingua e neppure troppe idee nella testa

Obama era a Washington in occasione del National Prayer Breakfast, una preghiera del mattino multi confessionale che da oltre sessant’anni (venne istituito nel 1953 dal presidente Eisenhower) riunisce il primo giovedì di febbraio circa 3.600 persone, tra cui diversi esponenti di diverse religioni. Occasione troppo ghiotta per il presidente per non improvvisarsi esegeta della vera fede e severo fustigatore della devianze compiute in nome di Dio. I terroristi islamici, okkei, ma anche quelle religioni che nei secoli passati si sono comportate come loro. E allora, giù con la scimitarra ad angolo giro, perché la violenza «non riguarda solo un gruppo o solo una religione e c’è una tendenza peccaminosa che può traviare ogni fede». Cristiani compresi, anzi in prima fila nella storia nera dei roghi e sgozzamenti in nome di Dio: «in nome di Cristo sono stati compiuti crimini orribili». E «ricordate quanto successo durante Inquisizione e Crociate», ma anche «in questo nostro Paese, la schiavitù e Jim Crow (le leggi sulla segregazione razziale) che sono state troppo stesso giustificate nel nome di Cristo».

Infine, auto nominatosi gran sacerdote della Chiesa universale Peace & Love, l’appello ai religiosi del mondo: «Siamo chiamati a combattere quelli che manipolano la religione per i loro fini nichilistici». Non si è capito se il riferimento era al Califfo dell’Is o ai nuovi crociati dell’impero americano, come li chiamano i tagliagola nei loro documentari. Qualcuno al Pentagono ha chiesto un’immediata convocazione della situation room della Casa Bianca per chiarire cosa intendeva il presidente.

Beh, dopo il discorso di Barack, ai presenti alla Colazione di Preghiera, gli sono andati di traverso cornetti e muffin e nulla è valsa la rapida correzione del presidente riluttante, qui in veste di asino ignorante, che ha smorzato un po’ i toni, aggiungendo che anche le religioni hanno molti aspetti positivi. Bontà sua. «Questa tradizione ci ha portato qui insieme, ricordandoci cosa condividiamo in quanto tutti figli di Dio. E sicuramente per me è sempre l’occasione per riflettere sul mio viaggio alla ricerca della fede».Troppo poco e troppo tardi, e poi difficile credere a questa storia di un Barack in viaggio alla ricerca della fede. C’è pure chi sospetta che tali viaggi, stupefacenti certo, siano però di altro tipo. Per darsi, forse, quel coraggio che Obama di suo, proprio non ha.

Dopo aver bacchettato i cristiani, Mr. President s’è accorto che tra gli invitati c’era pure un ometto vestito di arancione con campanellini e tamburellino, dapprima scambiato per un hare krishna imbucatosi chissà come. Appreso, invece, che si trattava solo del Dalai Lama, Tenzin Gyatso, nella sua e ultima quattordicesima incarnazione, Obama si è dato precipitosamente alla fuga, cercandosi di mimetizzarsi con la tappezzeria. Pur di non essere costretto a concedergli la rituale stretta di mano o una più amicale pacca sulla spalla (peraltro scoperta dalla pesante veste monacale da 40 chili di peso).

In Cina si sarebbero molto arrabbiati di brutto se qualche fotografo avesse beccato Obama a tenero colloquio con Sua Santità e non l’avrebbe certo passata liscia.Dismesso dunque il costume del nero inquisitore di cristiani, Barack ha indossato quelli meno appariscenti e più riposanti del coniglio. I cinesi sono pazienti e sempre col sorriso sulle labbra, basta non toccagli il Tibet. Mazzolare i cristiani non comporta nessun rischio, il Papa in Vaticano ha già altre gatte da pelare e quello delle crociate è certo il suo ultimo pensiero.

Così, Obama Cuor di Leone ha cominciato a miagolare e s’è subito messo a fare fusa lunghe fino a Pechino. Va bene combattere la violenza delle religioni e bastonare i crociati del Papa, ma qui ballando affari miliardari con i capitalisti rossi e non è il caso di fare gli schizzinosi. E poi, i cinesi sono atei e non si sono mai permessi di fare la pelle a qualcuno “in nome di Cristo”. Certo, ne hanno ammazzati a milioni ma per altre ragioni. Dunque, il Lama vada a fare le sue compassionevoli strette di mano da un’altra parte. C’è sempre Richard Gere, il grande amico del Lama, sempre pronto a raccogliere dollari e iscrizioni al Dalai Social club dei monaci tibetani.

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