Oggi si fa memoria dei martiri

Il 24 marzo 1980, mentre celebrava l’Eucaristia, fu ucciso monsignor Oscar  A. Romero, vescovo di San Salvador nel piccolo stato centroamericano di El  Salvador. Da quell’evento prende ispirazione la celebrazione annuale di una Giornata di preghiera e digiuno in ricordo dei missionari martiri per fare memoria di quanti lungo i secoli hanno immolato la propria vita proclamando il primato di Cristo e annunciando il Vangelo fino alle estreme conseguenze, sia per ricordare il valore supremo della vita che è dono per tutti. Mons. Gianni Cesena, direttore dell’Ufficio Nazionale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, ha sottolineato che il fare memoria dei martiri è acquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la semplice conoscenza:

“Chi si incammina per la via della fede cristiana non può ignorare che la parola di Gesù, che propone amore, condivisione e pace, si scontra comunque con i poteri dominanti e la mentalità prevalente. I primi secoli del cristianesimo furono soprattutto tempi di martirio per masse di credenti i cui nomi ignoriamo… Ricordare i missionari uccisi, insieme all’enorme numero di quanti per la fede hanno subito e subiscono persecuzione fino alla morte, è anche affermare che non c’è credere senza ‘dare la vita’ come Gesù. L’anno della fede ci ripete che essa è autentica se si mostra all’esterno e si spende per gli altri, anche se c’è un prezzo da pagare… Il martirio è un fatto di fede, è cioè mettere la propria vita nelle mani di colui in cui si crede. Non si sceglie di morire solo ‘per una giusta causa’ ma si è disposti a farlo perché Gesù, il nostro maestro, ci ha mostrato con la sua stessa morte, che questo può accadere e che siamo chiamati ad amare fino in fondo”.

E nella memoria di questa giornata monsignor Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador, ha detto che il papa “è assolutamente convinto che sia un santo e un martire… Sono molto ottimista perché progressivamente si sono venuti a comporre una serie di elementi e tutti nella stessa direzione”. Secondo la Commissione di verità che ha indagato sui crimini commessi durante quel conflitto, uno dei principali mandanti dell’omicidio è stato Roberto D’Aubuisson, fondatore del partito Alianza Republicana Nacionalista (ARENA), che ha governato il Paese tra il 1989 e il 2009. Nell’omelia di quel  24 marzo mons. Romero si rivolse ai militare che lo stavano uccidendo con queste parole: “Vorrei rivolgere un invito particolare agli uomini dell’esercito… Fratelli, appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli contadini; ma davanti ad un ordine di uccidere che viene da un uomo deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere…

Nessun soldato è obbligato ad obbedire ad un ordine che sia contro la legge di Dio… Una legge immorale nessuno deve adempierla. È ora, ormai, che recuperiate la vostra coscienza e obbediate anzitutto ad essa, piuttosto che all’ordine del peccatore. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, della legge di Dio, della dignità umana, della persona, non può rimanere in silenzio di fronte a così grande abominazione. Vogliamo che il governo si renda conto sul serio che non servono a niente le riforme se sono macchiate con tanto sangue… In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente i cui lamenti salgono al cielo sempre più tumultuosi, vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: basta con la repressione!”.

Ma sta venendo alla luce la verità anche su un altro assassinio: quello di monsignor Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja in Argentina, morto in un incidente stradale il 4 agosto 1976, ma ora catalogato come un ‘assassinio’ per ordine della dittatura militare e non come un evento fortuito. In realtà già nel 1983, subito dopo il ritorno della democrazia in Argentina, un giudice di La Rioja, sulla base della testimonianza di un sacerdote sopravvissuto all’incidente, aveva ritenuto la morte di Angelelli un ‘assassinio premeditato’, ma non era stato possibile arrestare i responsabili a causa delle leggi di amnistia del governo di Raúl Alfonsín (1983-1989) e dei successivi indulti di Menem. Mons. Angelelli è considerato come ‘Oscar Romero’ argentino dal 2005, quando il cardinale Jorge Bergoglio, allora primate della Chiesa argentina, si riferì alla sua morte dicendo che si è ‘imbevuto del suo stesso sangue’.

Come prelato è sempre stato sensibile al problema della giustizia sociale e alle istanze rinnovatrici del Vaticano II. La sua parabola pastorale, prima come vescovo ausiliare di Córdoba e poi (dal 1968) alla testa della vicina diocesi di La Rioja, ha avuto come filo conduttore l’impegno ‘per coloro che nella vita patiscono la fame, la miseria e l’ingiustizia’: “Non lasciamo che i generali dell’Esercito usurpino la missione di tutelare la fede cattolica”, aveva scritto ai vescovi argentini alcune settimane prima del golpe militare. E subito dopo il golpe è partito per la capitale per denunciare la repressione illegale. La sua morte sulle strade della diocesi di La Rioja è avvenuta solo qualche mese dopo.

Sempre in Argentina, nel maggio 2011 il futuro papa aveva firmato la causa di beatificazione di Carlos de Dios Murias, un giovane frate francescano torturato e ammazzato brutalmente dai militari della provincia di La Rioja, nel 1976, che potrebbe essere beatificato proprio da papa Francesco. Carlos Murias era nato nel 1945 a Cordoba. Il padre era un ricco agente immobiliare e un politico assai noto nella regione. Per suo figlio aveva immaginato una carriera da soldato, e lo aveva iscritto al Liceo Militare, ma subito dopo gli studi Carlos era entrato in seminario e poco dopo era stato ordinato sacerdote proprio da mons. Enrique Angelelli, il vescovo di La Rioja. P/adre Miguel La Civita, stretto collaboratore di mons. Angelelli, ha raccontato il delicato compito di mons. Bergoglio:

“Lo avevo conosciuto durante gli studi. Pochi giorni dopo gli omicidi, prese i nostri seminaristi e li nascose al Colegio Máximo dei gesuiti, di cui era il provinciale. Non sono storie che ho sentito raccontare: le ho vissute, in prima persona. E sia chiara una cosa: io ero l’esatto prototipo di quelli che allora venivano chiamati preti terzomondisti, teologia della liberazione. Con la scusa dei ritiri spirituali, il Colegio era diventata una centrale per aiutare i perseguitati: li nascondeva, preparava i documenti falsi e li faceva fuggire all’estero”.

Fonte: Oggi si fa memoria dei martiri.

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