Omofobia e gender. Tirata dell’Espresso e nostra risposta | Tempi.it

aprile 17, 2014 Redazione

Per rilanciare il ddl Scalfarotto e l’indottrinamento di genere, il settimanale pubblica un lunghissimo servizio carico di ideologia e di accuse alla Chiesa. Nostra risposta

espresso-omofobia-chiesa-hIl settimanale L’Espresso torna sul tema omofobia, dopo aver preparato a modo suo la strada al ddl Scalfarotto, pubblicando online un mega servizio di quattro articoli che è un lunghissimo capolavoro di interpretazione ideologica della realtà, quando non di disinformazione. Lo scopo è dimostrare l’impellente necessità tanto della legge sull’omofobia quanto dei famigerati corsi scolastici di teoria del gender. Per capire di cosa stiamo parlando basterebbe raccontare quanto è accaduto con la visita di Vladimir Luxuria al Liceo Muratori di Modena, comunque prendiamo a mo’ d’esempio alcuni passaggi degli articoli della rivista e commentiamoli.

EMERGENZA? Si parte dal presupposto che l’omofobia «è un problema. E non servono statistiche ufficiali (che non esistono) per dimostrarlo: basta ascoltare le esperienze di quanti l’omofobia la vivono ogni mattina sulle scale del liceo o provano ad affrontarla in cattedra. O ancora andare su Ask.fm, il social network più diffuso fra gli adolescenti, dove abbondano le domande anonime sul compagno-sicuramente-gay o la ragazza-evidentemente-lesbica, con il loro corredo di commenti pruriginosi e di insulti».
Ora. Che l’omofobia, intesa come disprezzo e maltrattamento delle persone omosessuali, sia «un problema», è innegabile, tanto è vero che in Italia esistono leggi che tutelano la dignità e i diritti civili di tutte le persone, senza distinzioni.
Tuttavia in questo paese è diventato «un problema» anche il concetto stesso di omofobia, cosa che nella sua campagna politico-mediatica l’Espresso si dimentica sempre di chiarire: è il rifiuto delle persone Lgbt o il rifiuto dell’agenda Lgbt? Le due cose sono molto diverse.
Inoltre, al contrario di quello che sostengono Michele Sasso e Francesca Sironi nel servizio, «è un problema» anche il fatto che purtroppo non esistano statistiche ufficiali sull’omofobia, visto che stiamo parlando di una legge dettata da una presunta emergenza. Senza contare che secondo i pochi studi seri a disposizione l’Italia risulta essere uno dei paesi più rispettosi degli omosessuali nel mondo.
Sarebbe «un problema» anche più grave, poi, se le istituzioni stabilissero le priorità del nostro paese navigando su Ask.fm.

omofobia-copertina-espressoLE TRAGEDIE. Ma forse per L’Espresso la mancanza di rilevazioni statistiche sull’omofobia non «è un problema» perché in caso di bisogno si può sempre strumentalizzare qualche tragedia. Lasciata da parte almeno per questa volta (grazie al cielo) la bandiera del “ragazzo dai pantaloni rosa”, ormai troppo piena di buchi per tornare utile, il settimanale sceglie di sventolare per l’occasione la vicenda di “G.”:
«G. aveva 14 anni quando si è suicidato, buttandosi dal balcone di casa sua, a Roma. Aveva lasciato un biglietto: “Sono omosessuale, nessuno capisce il mio dramma”». E più avanti si parla di «decisioni drastiche [come] quella di G., che si è buttato dal balcone, o del 16enne che un anno fa ha provato a uccidersi per gli insulti ricevuti all’istituto nautico che frequentava».
Benissimo. A parte il fatto che la seconda drammatica vicenda citata in realtà è un’altra falsa pista battuta per sbaglio qualche mese fa dai giornali ideologicamente schierati (che infatti a suo tempo smisero subito di seguirla), occorre chiedersi, senza sparare risposte preconcette, che cosa dimostri veramente il suicidio di G. Cosa mancava a quel ragazzo? È tragicamente difficile, se non impossibile dirlo. «Nessuno capisce il mio dramma», ha scritto. E nessuno vuol dire nessuno.
Eppure – anzi: a conferma di questo – invece di lasciarsi interrogare da un evidente mistero, L’Espresso insiste apoditticamente che «il 14 enne romano si è gettato dalla finestra perché, pare, escluso dagli amici dopo che aveva confessato di essere gay». E che dunque il problema di G. e dei ragazzi come lui – scrive, da insegnante, Mariangela ‘Galatea’ Vaglio – è solo quello di essere «accettati dalla società per quello che sono, o che vorrebbero essere». Perciò sotto con le leggi e i corsi “anti-omofobia”.

gender-scuola-tempi-copertinaCORSI E OPUSCOLI. E veniamo appunto ai corsi di teoria del gender, definiti dall’Espresso «la prima vera iniziativa dello Stato contro l’omofobia». Secondo Sasso e Sironi è una vergogna che gli opuscoli Unar siano stati prima «boicottati dal cardinale Bagnasco» (boicottati da Bagnasco?) e poi «messi in sordina dallo stesso ministero dell’Istruzione prima ancora di essere distribuiti: censura preventiva in piena regola». E perché è una vergogna che qualcuno stia tentando di bloccare il progetto? Perché, spiega L’Espresso, in fondo si tratta solo di un sacrosanto «piano per combattere gli stereotipi contro lesbiche, gay, bisessuali e transgender», studiato con il nobile intento di aiutare «gli studenti e le studentesse gay o lesbiche» e di non lasciarli soli ad «affrontare l’ignoranza e le aggressioni».
Il che, spiegato così, suona tutto molto cavalleresco e solidale. Peccato che i suddetti corsi e i relativi manuali Unar si spingano ben oltre l’obiettivo di contrastare «l’ignoranza e le aggressioni» omofobe, come sanno i nostri lettori. E quando L’Espresso cita come coraggioso esempio pionieristico di questi corsi il progetto “A scuola per conoscerci” avviato in Friuli Venezia Giulia nel 2009, in realtà non fa altro che confermare gli allarmi che cerca di disinnescare. Allarmi come questo: «Sul “Corriere della Sera” Isabella Bossi Fedrigotti si lamenta della guida perché attaccherebbe la “famiglia tradizionale” e sarebbe “una precipitosa corsa in avanti con uno scopo preciso: preparare il terreno al matrimonio omosessuale”». Ma come le sarà saltata in mente questa omofoba sensazione?

GENDER? QUALE GENDER? Non è assolutamente vero che si voglia attaccare la famiglia tradizionale e preparare il terreno alle nozze gay, insistono Sasso e Sironi. E per dimostrarlo buttano giù questo paragrafo spettacolare:
«Gay che dimostrano di essere ottimi genitori, incontri per combattere le discriminazioni, lezioni contro il bullismo: per le associazioni cattoliche sono tutte armi di quella che loro definiscono “Ideologia del gender”. È il cappello sotto cui finisce, per loro, ogni tentativo di spiegare che è assolutamente normale non riconoscersi nel genere in cui si è nati, oppure amare persone dello stesso sesso, o ancora vivere ed essere una famiglia anche senza un uomo e una donna che copulino al solo scopo di riprodursi».

omofobia-espressoIL RISPETTO DELLE DIFFERENZE. Insomma, per chi ancora non l’avesse capito, a nessuno interessa portare avanti l’agenda Lgbt, tanto meno alle 29 associazioni Lgbt a cui il governo Monti nel 2012 ha affidato in via esclusiva la “Strategia nazionale” anti-omofobia nell’ambito della quale è stato concepito tutto questo bell’indottrinamento. Alle associazioni Lgbt interessa solo insegnare la tolleranza e l’accettazione del “diverso”. E in che cosa consista questo «rispetto delle differenze», lo spiega benissimo il Circolo culturale Mario Mieli, una delle 29 associazioni Lgbt di cui sopra, interpellato dall’Espresso per rispondere a quell’omofobo del sottosegretario Toccafondi, alla sua famosa intervista omofoba concessa a tempi.it e alle sue omofobe manovre per boicottare omofobescamente gli opuscoli Unar.
«Andrea Maccarrone, presidente del Circolo Mario Mieli di Roma punzecchia il sottosegretario: “Le istituzioni e gli insegnanti hanno il diritto e il dovere di proporre contenuti e offerte educative che promuovano i valori della legalità e del rispetto delle differenze, il contrasto alle discriminazioni e alla violenza. E questo non lede in alcun modo la libertà dei genitori o degli studenti”. Maccarrone chiede che a Toccafondi vengano immediatamente ritirate le deleghe per inadeguatezza rispetto al delicato ruolo istituzionale che ricopre».

VIVA LA LAICITÀ. Perfetto, infine, il titolo scelto dall’Espresso per il servizione anti-omofobia:
“Omofobia: a scuola la Chiesa censura
Essere gay in classe è un calvario
Ma non eravamo uno Stato laico?”
Infatti. Siamo uno Stato laico. E non è certo «la Chiesa» che può «censurare a scuola» chissà poi chi e che cosa. Piuttosto, se c’è una dottrina dogmatica e fideistica che ci si ostina a volere affermare nonostante i cortocircuiti devastanti che crea quando entra a contatto con la realtà, e nonostante la laicità dello Stato, quella dottrina è la teoria del gender.

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