Ora pro Siria: L’anelito di libertà può ancora giustificare la distruzione di un Paese?

Il cambiamento era possibile senza il ricorso alle armi, come è accaduto altrove


da La Perfetta Letizia
di Patrizio Ricci

La popolazione civile ha a che fare da una parte con milizie raggruppate sotto la sigla di ‘Esercito libero siriano’ e dall’altra con l’esercito governativo regolare: il primo, pur di imporre la propria supremazia, compie azioni militari spregiudicate, compresi atti contro la popolazione civile; il secondo agisce come qualunque esercito in una simile situazione: cerca di riprendere possesso del territorio. Tutto normale allora? No, il peggioramento, dopo due anni di guerra senza regole, è evidente: i crimini si moltiplicano. Si potrebbe dire allora che entrambi le parti sono egualmente responsabili della sofferenza inflitta alla popolazione? Il nostro codice penale dice di no: “Chi commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con l’ergastolo” (art. 286 del c.p.). Probabilmente il legislatore aveva soppesato bene gli effetti di una guerra civile ed ha elaborato una norma così severa perché una insurrezione armata destabilizza non solo il governo, ma la struttura dello stato, ad ogni livello, con risultati devastanti per la popolazione. E questo è un concetto applicabile dovunque: è evidente che nel caso siriano gli esiti e le violazioni del diritto umanitario sono stati peggiori della sopravvivenza del potere da abbattere. Senza rinunciare alle giuste richieste iniziali, sarebbe bastato accettare un compromesso, considerando come positiva la riforma costituzionale, che ha sostanzialmente accolto tutte le richieste degli insorti, compreso il multipartitismo. Non è accaduto così: l’opposizione armata (che non è la componente maggioritaria del dissenso) ha derubricato tutti i provvedimenti attuati dal governo giudicandoli demagogici ed è passata alla guerriglia.

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