Pakistan, blasfemia: «Rehman forse non andrà a processo» | Tempi.it

gennaio 22, 2013 Leone Grotti

Intervista a Peter Jacob, direttore esecutivo Commissione giustizia e pace della Cei pakistana: «L’ambasciatrice negli Usa ha proposto di cambiare la legge sulla blasfemia ma non è blasfema. Per ora è partita l’indagine»

«Sherry Rehman è una donna molto coraggiosa e quando ha provato a modificare la legge sulla blasfemia l’abbiamo difesa». Peter Jacob, direttore esecutivo della Commissione nazionale giustizia e pace della Cei pakistana, parla volentieri a tempi.it della donna musulmana, ambasciatrice negli Stati Uniti, che ha difeso pubblicamente la cristiana Asia Bibi e ora rischia di essere processata per blasfemia. La Corte Suprema, con una decisione inaspettata, ha infatti imposto alla polizia di accogliere le accuse di blasfemia lanciate contro di lei da un commerciante nel 2011 e di aprire un’indagine. «Io però continuo a sperare che non si arrivi a un processo».

Sherry Rehman sarà dunque processata per blasfemia?
Non è detto, il suo caso non è ancora stato portato davanti a un tribunale, ma soltanto ammesso e la polizia ora dovrà investigare. Per il momento però non c’è stato alcun procedimento nei suoi confronti. Questa petizione contro di lei era stata presentata dopo che nel febbraio 2011 Rehman ha difeso Asia Bibi durante un talk show su Dunya Tv. Dopo una serie di ricorsi, la Corte suprema ha dato ragione a Faheem Akhtar Gull, che l’ha accusata.

Perché la Corte Suprema ha accettato la petizione?
Non sono ancora uscite le motivazioni ma io spero che la Corte non aprirà un processo. Il vero problema è che nel 2011 Rehman ha proposto di emendare la legge sulla blasfemia all’Assemblea nazionale del Pakistan. Poi ha ritirato la proposta perché il suo partito, per ragioni politiche, non l’ha appoggiata.

Il governatore del Punjab musulmano Salman Taseer è stato ucciso dopo avere difeso Asia Bibi e proposto modifiche alla legge.
Quando qualcuno propone di modificare la legge sulla blasfemia viene subito criticato e minacciato. Questo è un elemento comune non solo tra i casi di Taseer e Rehman ma anche di tutti quelli che cercano di opporsi alle ingiuste sofferenze portate da questa legge.

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