Pakistan, l’avvocato di Asia Bibi: l’anomalia diventa ingiustizia – Vatican Insider

Intervista esclusiva a Shakir. Cancellata ancora una volta l’udienza, prevista oggi, per il processo di appello della cristiana condannata a morte per blasfemia.

Paolo Affatato
Roma

Stupore e sbigottimento. Amarezza e piena certezza che “c’è qualcosa di anormale”. Il quinto rinvio in pochi mesi, per la prima udienza del processo di appello per Asia Bibi – la donna cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan – genera un senso di frustrazione nell’avvocato Naeem Shakir, a capo del collegio difensivo della donna, che si trova in carcere da quasi cinque anni. Shakir, personalità nota nel campo dei diritti umani, nel 2012 è stato premiato dal governo pakistano con lo “Human Rights Defender Award”. In una intervista esclusiva a Vatican Insider, l’avvocato, cristiano pakistano che nella sua professione cerca di coniugare fede e giustizia, non nasconde scetticismo e critiche verso l’attuale  sistema giudiziario del Pakistan, incapace di garantire giustizia a una innocente.

 

Avvocato, cosa è accaduto all’udienza per il caso di Asia Bibi?

«L’udienza era nella lista di quelle previste per oggi, 27 maggio. Poi è sparita all’improvviso dall’elenco. Non sappiamo perché e non si sa quando e se verrà nuovamente calendarizzata. Posso solo dire che quanto sta accadendo non è normale. Restiamo in contatto con l’amministrazione dell’Alta Corte di Lahore e attendiamo una motivazione ufficiale per spiegare questa anomalia che si traduce nella mancanza di giustizia per una vittima innocente».

 

Come valuta il caso di Asia Bibi?

«Si tratta di un caso dove c’è una fondata speranza di assoluzione. Il giudice di primo grado ha commesso un errore di diritto travisando e non considerando delle prove. Nel processo tenutosi nel 2009 davanti al tribunale di Nakhana non sono stati osservati alcuni principi del diritto penale. Il giudice è stato sopraffatto dai suoi sentimenti religiosi ed è stato influenzato dalla pressione degli islamisti radicali. La condanna è basata sul “sentito dire”, che non è ammissibile in legge. Tre testimoni, tra i quali il principale denunciante, l’imam Masjid, capo di una moschea locale, non erano presenti nel luogo e al momento dei fatti contestati e non hanno mai sentito le presunte parole blasfeme di Asia Bibi. Gli unici  veri testimoni dell’accusa sono due donne che sostengono di averla sentita pronunciare commenti sprezzanti contro il profeta Maometto e il Corano. Ma sono testimoni interessati e di parte, quindi inaffidabili e non credibili. Sono le due contadine che litigarono con Asia, mentre lavoravano in un campo, il 14 giugno 2009 e si rifiutarono di bere l’acqua che lei aveva portato, dicendo che “non avrebbero bevuto acqua portata dalle mani di un non-musulmano”, perché impuro. Dopo la lite che ne seguì, per vendetta e rancore hanno costruito artificiosamente questo caso, con l’aiuto del clero musulmano».

 

Su cosa punterete nella difesa?

«In particolare il caso registra un ritardo eccessivo e inspiegabile tra il giorno in cui è avvenuta la presunta blasfemia (il 14 giugno) e la presentazione della denuncia alla polizia (il 19 giugno). Perché tutto questo tempo? Ciò dimostra che la denuncia è stata presentata dopo una deliberata consultazione. Esiste una pletora di precedenti, nella giurisprudenza delle Corti superiori, in cui un ritardo inspiegabile – anche solo di poche ore – getta forti dubbi ed è ritenuto prova evidente della manipolazione delle accuse. Nel caso di Asia, sei giorni sono veramente troppi e l’accusa risulta del tutto non credibile».

 

Avete altre obiezioni sui testimoni?

«Certo, perché vi sono contraddizioni e discrepanze fra quanto i testimoni dell’accusa hanno dichiarato alla polizia e quanto hanno detto in aula. Tali discrepanze sono state ignorate in giudizio.

Va detto che la falsa testimonianza è grave anche secondo la legge islamica. Il reato di blasfemia contestato ad Asia (secondo l’art. 295c del Codice penale) è stato introdotto nel 1982 e le pene relative furono introdotte nel 1986, in virtù della legge islamica. Ma allora il giudice del processo dovrebbe tenere una inchiesta per determinare l’idoneità e la veridicità di un testimone, secondo le prescrizioni della stessa legge islamica. E nemmeno questi requisiti giuridici di diritto islamico sono stati rispettati. Sulla base di tali elementi, sono fiducioso che la sentenza di condanna possa essere ribaltata. Tuttavia abbiamo bisogno di un ambiente favorevole per una corretta amministrazione della giustizia».

 

Asia sarà chiamata a testimoniare?

«Se arriveremo al novo processo, auspichiamo ben presto, non credo potrà farlo, per motivi di sicurezza. Ma già in primo grado Asia negò le accuse dichiarando di nutrire profondo rispetto per il Profeta e per il Corano, e affermando che l’accusa era frutto di una cospirazione. La sua posizione non è cambiata».

 

Cosa pensa della legge sulla blasfemia in Pakistan?

«È ormai ammesso a tutti i livelli, nazionale e internazionale, che questa legge sulla blasfemia viene regolarmente abusata per risolvere controversie private, per rivalità professionali e anche per la persecuzione religiosa. Nonostante ciò, sembra che lo stato abbia ceduto alle pressioni delle lobby religiose islamiche che la sostengono. I casi di blasfemia aumentano, ma è paradossale. Basti pensare: chi oserebbe bestemmiare il Profeta e il Corano in questo clima di caccia alle streghe? Solo uno squilibrato potrebbe farlo. Credo sia giunto il momento di adottare alcune misure correttive, altrimenti saranno il sistema giudiziario e lo stato di diritto a crollare».

Come valuta l’intolleranza nella società?

«La società pakistana sta esplodendo a causa dell’estremismo, della militanza e dell’intolleranza, diffuse in ogni ambito della vita. La società è ostaggio di estremisti religiosi, di militanti organizzati e di presunti “vigilanti” della vera religione. Per cementare questo pensiero, i programmi di studio nelle scuole sono basati su materiale che propaga odio e pregiudizi religiosi verso le minoranze religiose non musulmane, come cristiani e indù. È un problema serio».

 

Quali sono le conseguenze?

«Questo paradigma ha prodotto risultati molto negativi in tre generazioni a causa della formazione di una mentalità basata sul settarismo. L’estremismo religioso e la militanza si sono integrati nel tessuto dello stato, delle istituzioni, della politica e stanno sfidando il sistema di governance. Hanno gradualmente eroso l’armonia socio-religioso e la tolleranza. Anche la comunità giuridica degli avvocati e dei magistrati sembra oggi profondamente influenzata della dottrina anti-democratica e da tali divisioni. Gli Ordini degli avvocati, che erano centri di pluralismo e di dibattito, sono divenuti centri di estremismo religioso. Il recente omicidio di Rashid Rehman, noto avvocato e attivista per i diritti umani, è indicativo: ucciso perché aveva accettato di difendere un uomo accusato di blasfemia. È scandaloso sapere che, in tribunale, minacce di omicidio gli erano giunte da colleghi avvocati che accusavano il suo assistito, tutto alla presenza di un giudice. E su questo raccapricciante assassinio non c’è stata alcuna parola da parte di rappresentanti del sistema giudiziario».

A suo parere, quali passi sono necessari?

«Occorre rianimare una cultura del dialogo e del pluralismo culturale e religioso, formando le nuove generazioni allo spirito di fraternità. La soluzione sta nella volontà politica dei governanti: devono avere il coraggio di adottare misure concrete in questa direzione, altrimenti la società potrebbe disintegrarsi. Tutte le forze democratiche devono unirsi, per il bene del paese, e proporre una nuova narrazione dell’ordine sociale, basata su valori come pace, tolleranza, armonia e giustizia sociale».

viaPakistan, l’avvocato di Asia Bibi: l’anomalia diventa ingiustizia – Vatican Insider.

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Africa e Medio Oriente, Asia e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.