Pakistan: sono cristiana e ho zero diritti

La temibile legge sulla blasfemia in Pakistan viene sistematicamente usata come arma contro i cristiani.

Una donna si sveglia di buon mattino attirata dal gemito della sua bambina di 6 mesi, mentre il marito ancora dorme. Inizia così, con la semplice e rassicurante routine quotidiana, una giornata che concluderà in carcere, strappata dalla sua bambina e da suo marito, accusata falsamente di aver “bestemmiato il nome del profeta dell’islam”. Alle famiglie di cristiani succede di continuo in Pakistan, vivono sotto lo spettro di false accuse per il solo fatto di rappresentare essi stessi una bestemmia per la maggioranza musulmana: credono in Gesù come loro Salvatore, come figlio di Dio, non frequentano le locali moschee ma piuttosto le bersagliate e vessate congregazioni cristiane, e tutto questo li espone al vituperio, all’intolleranza e alla persecuzione, che a volte prende l’odiosa e subdola forma delle false accuse di blasfemia. E’ facile: un vicino musulmano è infastidito dalla presenza di cristiani nella sua zona, chiama la polizia e sostiene di aver udito un membro di quella famiglia oltraggiare il nome di Maometto o di Allah e scatta il carcere. Le prove? Spesso la sola parola dell’accusatore è sufficiente, poiché in un paese fortemente islamico (oltre il 90% della popolazione è musulmana) come il Pakistan, i cristiani sono considerati cittadini di serie B. Inconcepibile. Ma vero.

E’ il caso di Shamim Bibi, 26 anni (non si tratta dell’ormai tristemente celebre Asia Bibi, accusata di blasfemia e passibile di pena di morte), cittadina del villaggio di Chak No (distretto di Bahawalpur, Pakistan), una figlia di 6 mesi e un marito che grida la sua innocenza, peraltro presente al momento della fabbricazione delle accuse contro di lei. La polizia l’ha prelevata sulla base di un’accusa di un vicino che sostiene di averla udita fare delle esternazioni poco rispettose su Maometto, nello specifico avrebbe violato la Sezione 295-C della temibile legge sulla blasfemia del Pakistan. Ricordiamo che parlare male di Maometto in questo paese è punibile con il carcere o la morte. Intanto Shamim Bibi è stata tenuta in prigione per un mese in maniera totalmente illegale, dato che la polizia avrebbe dovuto compilare un mandato di formale accusa entro 14 giorni (secondo il codice di procedura penale di questo paese), cosa che non è avvenuta. Il legale della giovane donna cristiana sostiene che le autorità si stanno rimpallando il caso senza giungere a nulla di ufficiale, intanto però la donna è rimasta in carcere.

Abbiamo saputo che alcuni componenti della famiglia di Shamim Bibi (fratelli, non cristiani ma musulmani), negli ultimi tempi hanno iniziato a esercitare forti pressioni su di lei perché si converta all’islam e tali pressioni sono poi sfociate nelle succitate accuse fabbricate dai vicini, una palese ritorsione per la sua resistenza a rinnegare la propria fede cristiana. I cristiani in Pakistan sono privati dei diritti più elementari e sono il bersaglio dei capricci e dei malumori dell’intollerante maggioranza musulmana.

Fonte: www.porteaperteitalia.org.

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