PARADISE: FAITH/ 2. Binetti: un “aborto” che profana il cuore di tutti

 

Paola Binetti sabato 1 settembre 2012

Che “Paradise Faith” faccia scandalo non è notizia. La notizia, grave!, sarebbe stata il contrario, che nessuno si fosse scandalizzato davanti alla storia di una povera malata in cui la fede raggiunge punte di distorsione che suscitano pena e tristezza in alcuni e scandalo in molti altri. Il regista ha voluto provocare gli spettatori, scartavetrarne non tanto la coscienza, quanto la sensibilità e la sensualità, caricando con tinte esagerate, stridenti e conflittive la storia di una povera malata.

La protagonista è una donna in cui un bigottismo vecchia maniera, amplificato per farne una macchietta, la ridicolizza fin dagli inizi della storia: la moltiplicazioni delle immagini sacre di cui sente il bisogno di circondarsi, l’ossessione con cui vive la sua mortificazione, una sorta di marketing apostolico, che la spinge ad andare di casa in casa più che per aiutare le persone, per distribuire immagini sacre di scarsissima qualità e soprattutto lo scollamento tra una fede predicata e una carità mancata, come traspare dal rapporto con il marito mussulmano. Una donna in cui tutto appare sbagliato, fuori posto, irritante, come accade in quelle personalità immature ed irrisolte, che sono sempre alla ricerca di ciò che non hanno. Un paradiso magico che possa risolvere con un tratto di penna tutti i problemi, ignorando gli infiniti ostacoli che scandiscono la nostra strada verso la felicità. Tutto ciò non ha nulla dell’esperienza religiosa di chi cerca umilmente e coraggiosamente il rapporto con Dio, nella tranquilla esperienza della preghiera e del servizio verso gli altri, con la speranza di trovare alla fine della propria strada il Paradiso.

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