Lo scontro è finito lunedì. Con la cacciata degli jihadisti e la riconquista da parte dell’esercito governativo. Sadad, però, resta in agonia. Le macerie di case, scuole, chiese, ospedali ostruiscono le vie di quello che, fino all’assedio, era il centro storico. Gli scheletri delle costruzioni raccontano con visiva immediatezza lo scempio subito. Tanti, troppi sono fuggiti. In 2.500 sono scappati subito dopo l’arrivo dei terroristi vicini ad al-Qaeda, il 21 ottobre. A centinaia si sono aggiunti all’esodo nei giorni successivi, man mano che le violenze si facevano più efferate: civili impiegati come scudi umani, anziani derubati, giovani pestati senza motivo. O meglio una ragione c’è, ma a poco a che vedere con la rivolta anti-Assad. I gruppi jihadisti approfittano del caos per portare avanti la loro “guerra santa” e cacciare gli “infedeli” dalla Siria, città dopo città. A farne le spese sono, dunque, le minoranze religiose ed etniche. Per questo, Sedad non è un caso isolato. Maalula, Saydnaya, sono altre tappe di questa assurda maratona del fanatismo.
Sadad, poi, è un “bottino ghiotto”. L’antica Zedad biblica, l’estremo confine settentrionale di Canaan, la “Terra Promessa” di cui parla il profeta Ezechiele, è uno snodo chiave. Situata quasi a metà strada tra Damasco e Homs, è un punto di passaggio fondamentale per i rifornimenti di armi e munizioni provenienti dal vicino Libano. Da lì, inoltre, si controlla l’intera regione dei monti di Qalamoun, lungo la frontiera. Per questo, gli islamisti di al-Nusra la volevano. E per la stessa ragione, i governativi hanno fatto di tutto per riprenderla. Intrappolati fra due fuochi, i civili cristiani. Eppure Sadad – e la sua gente – agonizza ma non muore. Qualcuno comincia a tornare. Giovani perloppiù che si sono auto-organizzati in squadre per la ricostruzione. Le famiglie con bambini hanno preferito restare “al sicuro”, nei rifugi improvvisati di Damasco, Homs, Fayrouza, Zaydan, Maskane, al-Fhayle: in città non ci sono più scuole agibili né ospedali per i loro figli. Oltre la metà delle costruzioni è stata rasa al suolo – secondo quanto riferisce Selwanos Boutros Alnemeh, metropolita siro ortodosso di Homs e Hama –. Gran parte delle case non ha più acqua, luce, servizi igienici, connessione telefonica».
Presenti sbriciolati, passati di dolori che si ripetono nei troppi teatri di guerra dal mondo. Per questo, migliaia e migliaia inseguono un futuro incerto. Altrove. Sono quegli esseri umani stroncati nel viaggio verso un futuro migliore, che ha ricordato nella preghiera ieri papa Francesco. «Cercavano una liberazione», ha detto il Santo Padre al temine della Messa al Verano. «Noi abbiamo visto le fotografie – ha affermato il Papa –, la crudeltà del deserto, abbiamo visto il mare dove tanti sono affogati». Nell’ultima settimana, sono stati trovati 87 cadaveri di migranti nel deserto del Niger, al confine con l’Algeria. E, ieri, l’aeronautica di Tripoli ha recuperato vivi 48 migranti dispersi nel deserto della Cirenaica. Due giorni fa ne aveva salvato altri 9. Una quarantina è, però, stata trovata morta lunedì. «Preghiamo per loro – ha concluso il Santo Padre –. E anche preghiamo per quelli che si sono salvati e, in questo momento sono in tanti posti d’accoglienza, ammucchiati, sperando che le pratiche legali di affrettino per potersene andare da un’altra parte, più comodi, in altri centri d’accoglienza».
Fonte: «Per i cristiani perseguitati e per i migranti morti» | Chiesa | www.avvenire.it.