Per rispettare davvero la fede degli altri bisogna ‘riconoscere’ la propria | l’Occidentale

Gli effetti mondiali del film antislamico Innocence of Muslims, un prodotto di gestazione oscura coperta da nomi che sembrano pseudonimi (v. il servizio di Nissenbaum, Oberman e Orden, sul Wall Street Journal del 13 settembre), conducono commentatori e opinione pubblica a reazioni che avverto come inadeguate, anzitutto illogiche, oggi come nella lontana crisi delle vignette. Anche nelle culture giuridiche che tutelano la ‘libertà d’espressione’ la questione del vilipendio di una religione esiste ed è fondata, anche quando il giurista ne misconosce la gravità. Che il ‘regista’ sostenga di aver prodotto un film ‘politico, non religioso’ rivela una malizia che si maschera di un’ignoranza poco plausibile; nessuno ignora che la distinzione politica/religione, già complessa nel Cristianesimo, è impraticabile nell’Islam. Solo nei monoteismi secolarizzati la ‘religione’ coincide col mero privato.

Sul nodo del rispetto e del vilipendio delle religioni, intese in senso proprio, opera però, nello spazio pubblico occidentale, una triangolazione tra i poli: laicità, chiesa/cristianesimo, e comunità non-cristiane (le musulmane, in particolare), di cui ho già scritto. A seconda delle congiunture e delle opportunità, gli argomenti di laicità, branditi da questa o quella istanza (opinione pubblica, giudici, legislatore), si schierano ora con l’islam contro il ‘privilegio’ dell’eredità cristiana (cattolica), ora contro l’islam in difesa dei valori occidentali (le libertà) e, talora, anche dei valori cristiani.  In questa strategia dei ‘due forni’ il polo della laicità passa, nei confronti delle comunità musulmane, da un molto ‘concedere’ ad un molto negare senza distinguere chiaramente,  non tanto tra islam moderato e islam radicale (che è distinzione retorica, di superficie: ‘radicale’ non significa terroristico; tra radicale e moderato c’è osmosi), ma tra fattispecie di azione, diciamo pure di reato. Giudicare dei comportamenti effettivi secondo fattispecie ben delineate lo vuole, e lo permette, la civiltà giuridica. Disordina invece la nostra capacità di analisi invocare la ‘libertà di espressione’, senza determinazioni, ora per assicurarla al soggetto musulmano ora per proteggerla da lui, dunque ‘scriteriatamente’.

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