Perché l’Egitto è strategico

 La crisi politica egiziana, conclusa con la destituzione del presidente Mohammed Morsi, ha messo in allarme non solo le cancellerie occidentali, ma anche quelle del mondo arabo (in particolare i governi del Golfo). Ma perché questa attenzione ? Perché i media internazionali da giorni seguono con così tanta attenzione ogni fase della crisi?

L’Egitto non è uno Stato qualsiasi. Con i suoi 83 milioni di abitanti, è il Paese arabo più popoloso al mondo. Non solo, da sempre rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per tutto l’islam sunnita, anche grazie all’autorevolezza dell’Università di al-Azhar, che ha sede al Cairo ed è universalmente riconosciuta come la massima autorità nel campo dello studio e dell’interpretazione della legge islamica. L’Egitto è quindi uno dei pilastri sui quali si regge l’ortodossia islamica. Ciò, se inserito nel contesto di scontro tra l’anima sunnita e quella sciita della grande famiglia musulmana (scontro che in Siria assume i contorni di una guerra civile feroce), assume un’importanza ancora maggiore. Il sostegno politico dell’Egitto al fronte anti-iraniano è infatti importante non solo per i Paesi del Golfo (Qatar e Arabia Saudita in testa), ma anche per l’amministrazione statunitense, che da anni sta perseguendo una politica di contenimento della politica di Teheran. Un Egitto debole, indebolirebbe tutto il fronte anti-iraniano.

Sempre in campo geostrategico, il ruolo del Cairo è fondamentale anche nella crisi israelo-palestinese. L’Egitto è stato il primo Paese arabo a firmare la pace con Israele e a riconoscerne l’esistenza (1979). Negli anni questa apertura verso l’«entità sionista» ha permesso ai politici egiziani di giocare un importante ruolo di mediazione tra le parti. Sono le buone relazioni con Gerusalemme, l’Autorità nazionale palestinese e Hamas (movimento che si ispira ai principi della Fratellanza musulmana) ad aver permesso al presidente Morsi di risolvere agevolmente la crisi tra Israele e Hamas scoppiata nel novembre 2012. L’attivismo egiziano è, tra l’altro, benedetto dagli Stati Uniti che negli ultimi anni sono riluttanti a intervenire direttamente nelle crisi mediorientali e vedono quindi con favore chi può farlo al loro posto senza mettere in discussione il ruolo di Israele.

L’Egitto infine è importante dal punto di vista economico. A differenza della Libia e dei Paesi del Golfo non è ricco di materie prime. I pochi giacimenti petroliferi che si trovano nel Basso Egitto e nel Mediterraneo non garantiscono al Paese entrate tali da metterlo sullo stesso piano delle petromonarchie. Detto questo non si può dire che l’Egitto non abbia un ruolo di rilievo in campo economico. Gestendo il Canale di Suez, Il Cairo controlla infatti una delle rotte commerciali più importanti del mondo. Una rotta che permette di collegare le economie rampanti dell’Asia e quelle in fase di crescita dell’Africa australe all’Europa e al bacino del Mediterraneo (si pensi alla Turchia e al suo crescente dinamismo economico). Nel solo 2008 (ultimi dati disponibili), nel Canale sono transitate 21.500 navi che, grazie ai diritti di passaggio, hanno fruttato alle casse egiziane 5,5 miliardi di dollari. Controllare quell’arteria significa quindi tenere in mano le sorti di una parte importante dell’economia internazionale. Di questo le cancellerie occidentali sono pienamente consapevoli. Da qui l’apprensione per la crisi egiziana.

Enrico Casale

Fonte: Perché l’Egitto è strategico.

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