”Piccolo Uovo”: intrattenimento bello, gaio e subdolo

di Daniele Ciacci – 15-03-2013

Il “Piccolo uovo” – lo spettacolo tratto dal libro illustrato da Altan, famoso per l’immortale “Pimpa”, e realizzato dalla regista Francesca Mainetti – è ben confezionato, lo spazio della scena dei pinguini gay è ridotto a poca cosa. Insomma, le critiche che in questi giorni infiammano la stampa paiono, in un primo impatto, esagerate. Eppure, un messaggio subdolo in quanto tale non può essere palese, ma mediato da una serie di accortezze. L’intrattenimento come passaggio di un’ideologia è presente sin dai primordi dell’arte, e per essere efficace l’ideologia dev’essere celata, indorata e, in questo caso, riempita di zucchero.

L’opera è realizzata dalla compagnia esterna Teatro19 e ospitata all’interno della ventisettesima rassegna di teatro per le scuole. I singoli docenti possono scegliere di vedere uno o più spettacoli in un campionario di dodici diversi titoli. Tra questi svetta “Piccolo Uovo”, di cui tanto è stato detto anche su questo sito.

Una piccola introduzione racconta il pretesto scenico: una bimba – interpretata prodigiosamente da Valeria Battaini – litiga con la mamma e decide di rinchiudersi nella sua stanza. Qui, chiede la comprensione di Damiano, il suo amico immaginario, che è poi l’ombra della bambina stessa. Il gioco di luci, che ingrandisce le sagome e permette la sovrapposizione di più personaggi su uno stesso pieno, è l’elemento più convincente della narrazione, e il plauso va a Carlo dell’Asta. Anche gli oggetti scenici – barche, bestie varie e sagome di pinguini antropomorfi – sono curati nel dettaglio da Francesco Levi.

Insomma, la bimba si chiude in se stessa e immagina il ritorno a uno stato fetale, dove regredisce all’utero materno – chiamato semplicemente “uovo” – immaginando di poter decidere in quale famiglia nascere. Inizia così un percorso conoscitivo che la porta a comprendere le diverse realtà familiari. Inizialmente, ci sono due cervi i quali, non riuscendo a concepire un figlio, viaggiano verso esotiche mete africane, adottando poi una scimmietta. Una trasposizione animale dell’adozione. Il dono dell’accoglienza ha origine del giusto desiderio di maternità e di paternità della giovane coppia di cervi, ma nel complesso manca di gratuità. Prima dell’adozione, infatti, c’è un periodo di “verifica” dove i tre giocano assieme. Solo alla maturazione della certezza che la scimmietta è “quello che loro vogliono” che inizia la convivenza. Non c’è rischio, c’è solo un progetto. E l’amore non è gratuito.

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