Pilato, la Cassazione e la famiglia omosessuale ~ CampariedeMaistre

di Marco Mancini

La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. […] Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto. (G. K. Chesterton, Eretici, 1905)
Mi ero ripromesso di non occuparmi nuovamente, almeno per un po’, di questioni attinenti l’omosessualità. Il rischio è di essere ripetitivi, tanto da apparire ossessionati e dare corpo così all’accusa di “omofobia” che tanto spesso ci viene rivolta contro. Ogni tanto, però, accade qualcosa che ti scuote dal torpore: allora, diventa difficile restare in silenzio.

La notizia è di ieri: la prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla causa relativa all’affidamento di un figlio. Da una parte, un padre di religione islamica. Dall’altra, una madre ex-tossicodipendente, che si è accorta di essere lesbica e convive con una ex-educatrice della comunità di recupero in cui era stata ospitata. Il padre aveva impugnato la pronuncia della Corte d’Appello, che aveva stabilito l’affidamento esclusivo a favore della donna; tra gli argomenti addotti, quello in base al quale il bambino avrebbe potuto subire “ripercussioni negative” dal fatto di essere educato da una coppia gay. La Suprema Corte, presieduta dalla “giudichessa” (come direbbe il Cav) Maria Gabriella Luccioli, gli ha dato torto: infatti, alla base delle rimostranze dell’uomo non sarebbero “poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”. Non si può dare per scontato, insomma, che quel contesto risulti dannoso per il bambino: ciò dev’essere specificamente dimostrato.
Certo, si può tentare di minimizzare e gettare acqua sul fuoco. Si può dire che, in fondo, la Corte ha semplicemente giudicato un singolo caso e la sentenza non ha efficacia erga omnes; che essa non ha fatto altro che affidare a una madre (le solite privilegiate…) il proprio figlio, prescindendo dalle sue vicende sentimentali; che il ragionamento dei giudici è di tipo prudenziale e non afferma in maniera chiara la piena legittimità della “famiglia omosessuale”. Insomma, possiamo fare finta che non sia successo nulla di particolarmente grave e passare avanti, ma non è proprio così.
Innanzitutto, si tratta della stessa sezione che solo qualche mese fa ha sancito il diritto delle coppie omosessuali ad avere una propria “vita familiare”, con la possibilità, in determinate situazioni, di “un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, entrando a gamba tesa in una materia delicatissima, su cui la politica si sta arrovellando anche in questa campagna elettorale. E il termine “famiglia”, seguito dalla contorta espressione “incentrata su una coppia omosessuale”, torna anche in quest’ultima pronuncia. A poco a poco, in maniera progressiva, senza premere troppo il piede sull’acceleratore, una sentenza dopo l’altra, i giudici – o le giudichesse – supremi si incaricano di far violenza al diritto naturale e al senso comune, inoculando nell’ordinamento i germi della “dittatura del relativismo”.

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