Più morti che nati | Giuliano Guzzo

demografia

In prossimità delle feste, me ne rendo conto, non è carino dare cattive notizie. Si passa per il pessimista di turno in una fase storica nella quale, purtroppo, il pessimismo già abbonda. Tutto vero. Ma se una notizia c’è – e seria, per di più – occultarla sarebbe imperdonabile. Eccola dunque, la notizia è questa: in Germania, nella ricca e invidiata Germania locomotiva d’Europa non nascono quasi più bambini: in dieci anni, infatti, il Paese «ha perso due milioni di bambini non nati», oggi «vede soltanto otto nuovi nati ogni mille abitanti» e di questo passo la popolazione «si ridurrà del venti per cento in due generazioni» [1].

Perché è una notizia? Perché conferma il declino demografico europeo e, soprattutto, perché smentisce l’idea che a buone o comunque a non critiche condizioni materiali corrisponda più natalità. Ebbene, nessun Paese – almeno in Europa – può accusare la Germania di essere terra arretrata, eppure al tempo stesso nessuno può non constatare, per quel Paese, il calo demografico costante: dai 9,35 nati ogni 1.000 abitanti del 2000, agli 8,45 del 2004 agli 8 attuali. Smettiamola, allora, col pretesto del precariato, che è un problema serio ma che non spiega – e mai risolverà, neppure se superato completamente – l’allarme demografico.

Così come mai lo risolverà l’immigrazione se si considera, per esempio, che nello stesso mondo musulmano – secondo uno studio condotto su 49 Paesi – tra il 1975 ed il 2010 si è verificato un calo della natalità del 41%, valore superiore, nello stesso arco di tempo, a quello planetario (-33%) [2]. Se tuttavia per alcuni Paesi si può parlare di ridimensionamento o transizione demografica, per l’Europa il problema è tragicamente più serio; basti dire che considerando gli ultimi decenni  è stato osservato che mai, dai tempi non proprio allegri della peste nera, nel Vecchio Continente tassi di fertilità erano più caduti in basso così rapidamente, così a lungo e così diffusamente [3].

In uno dei libri a mio avviso più interessanti (e, in proporzione, meno letti) pubblicati in Italia negli ultimi anni [4], lo statistico Roberto Volpi  – mettendo in luce parecchie cose scomode, a partire dal fatto che la cosiddetta rivoluzione sessuale ed il divorzio, a conti fatti, si sono paradossalmente tradotti «in una formidabile caduta del sesso e dei rapporti sessuali tra uomo e donna» (p.33) – denuncia per l’Occidente una stanchezza riproduttiva non superabile con sussidi e aiuti, per quanto ingenti. Infatti, ottenere degli aiuti per meglio mantenere i propri figli è utile e sacrosanto, ma nessun aiuto economico potrà colmare il nostro vuoto spirituale, che è la vera causa della denatalità.

Se infatti siamo passati da una ricorrente ad una rara correlazione fra pratica sessuale e riproduzione, e se tendiamo a snobbare il matrimonio in favore di convivenze dalle quali però, numeri alla mano, nascono ancora meno figli di quelli che arrivano da coppie sposate, non è perché non abbiamo danari, lavoro sicuro e quant’altro: il declino demografico è iniziato da diversi decenni, inutile giocare a nascondersi dietro un dito. Se siamo in questa situazione, con ormai quasi più morti che nati, è perché alla mentalità positiva sul futuro abbiamo sostituito una mentalità contraccettiva sul presente, a tutto quello che dura quello che piace. E prima lo capiremo, signori, meglio sarà.

Note: [1] Meotti G. Grecia e Germania hanno lo stesso incubo: il “baby choc”, Il Foglio, 17/12/2013; [2] Cfr. Eberstadt N. – Shah A. (2012) Fertility Decline in the Muslim World. «Policy Review», n. 173; [3] Cfr. Wattenberg B.J. (2005) Fewer: How the New Demography of Depopulation Will Shape Our Future, Ivan R. Dee Publisher; [4] Cfr. Volpi R. (2012) Il sesso spuntato. Il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente, Lindau.

Fonte: Più morti che nati | Giuliano Guzzo.

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