Quirico: «Ho creduto di essere all’Inferno» | Tempi.it

settembre 26, 2013 Leone Grotti

Il giornalista della Stampa rapito per 152 giorni in Siria racconta la sua esperienza in prigionia a Milano: «Il mio peccato più grande è stato la vanità, i veri sequestrati erano i miei famigliari»

Domenico Quirico accolto dai colleghi alla sede de "La Stampa" di Torino«Il mio modello di fede è Giobbe, quello del mio collega belga Abramo. Lui cercava di fare un patto per essere liberato e si arrabbiava perché non succedeva mai, per me con Dio può funzionare solo il darsi, l’affidarsi, stando in attesa». Parla con grande passione e trasporto Domenico Quirico (leggi qui la sua intervista a tempi.it), che ieri a Milano ha accettato l’invito del Cmc per un incontro a Palazzo Marino in cui ha raccontato i suoi 152 giorni di prigionia in Siria, nelle mani dei ribelli, «che in teoria erano i miei amici, quelli che mi hanno tradito e hanno tradito la rivoluzione».

«CREDEVO DI ESSERE ALL’INFERNO». «Ho dovuto avere pazienza – continua – come Giobbe, che lascia che Dio gli tolga tutto ma alla fine riceve dieci volte di più. Per me il rapporto con Dio, soprattutto nella vita di tutti i giorni, è questo darsi e aspettare».
Ma non è stato facile attendere, soprattutto «dopo due mesi di giornate vuote, passate a far niente, in prigionia»: «A un certo punto ho pensato di essere morto e di essere finito all’Inferno, chiuso per sempre in una stanza vuota, caratterizzata dall’assenza di tutto».

domenico-quirico-tempi-copertina (1)«LA MIA FAMIGLIA IN PRIGIONIA». Ma poi, continua Quirico, «ho capito che quell’assenza era la presenza più forte di Dio, che mi diceva “accetta con umiltà, non venire subito a farmi delle domande, fidati”. Dio non mi ha mai abbandonato ma penso di aver espiato le mie colpe». Quali? «Uno dei peccati più facili per il giornalista: la vanità. I veri sequestrati erano i miei famigliari, i miei amici, i miei colleghi, che hanno sofferto con me e per me senza poter sapere dov’ero, se ero vivo o morto. E per che cosa io li ho esposti a questo rischio? Per un reportage in più, per 150 righe. La bilancia non funzionava, ho peccato di vanità e pensavo in prigionia: “Io devo tornare, devo tornare per chiedere perdono”».

«IL VALORE DELLE COSE SEMPLICI». Ora che è tornato a casa, viene chiesto al giornalista della Stampa, «come si fa a recuperare quei 152 giorni che ti sono stati tolti?». «Io recupero la mia vita facendo gesti semplici – è la risposta – perché ho scoperto il valore immenso di cose banali: bere l’acqua fresca quando ho sete, cosa che non potevo fare in Siria, decidere se mangiare una cosa o l’altra, soprattutto i dolci. Io sono molto goloso e il gusto di un biscotto è fantastico, non sentire di continuo il rumore dell’artiglieria è straordinario».

Fonte: Quirico: «Ho creduto di essere all’Inferno» | Tempi.it.

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