Rassegna stampa – Centro Cattolico di Documentazione di Marina di Pisa – Dan Brown e l’inferno: i soliti trucchi

Studi cattolici n.631 settembre 2013
  

Rino Cammilleri


Poiché molti si son portati sotto l’ombrellone Inferno di Dan Brown, sarà il caso di fare il punto non sul romanzo in sé (l’ha già fatto bene Massimo Introvigne sulla Nuova bussola quotidiana il 17.5.2013) ma sull’autore, visto che si tratta dello scrittore di thriller più letto (attualmente) al mondo. Mentre scrivo, il sunnominato Inferno ha già raggiunto i dieci milioni di copie. Niente, in paragone ai settanta del famigerato Codice Da Vinci, insidiato solo dalle altrettanto famose Cinquanta sfumature di grigio: quaranta.

Certo, quest’ultima cifra dice tutto sul livello intellettuale del pubblico medio mondiale, ma gli editori sono imprenditori commerciali e a loro interessa il profitto, non la qualità. Infatti, la qualità senza profitto è come l’evangelica lucerna sotto il moggio, e di capolavori di cui nessuno mai conobbe l’esistenza deve essere piena la storia recente. Eh, l’epoca dei mecenati che, amando circondarsi di bellezza, tenevano a libro paga gli artisti migliori (i migliori, non i più noti) è finita da un pezzo. Il che significa, per tornare al nostro argomento, che oggi uno scrittore deve cercare la fama presso il grande pubblico. Solo dopo che l’avrà ottenuta gli editori gli stenderanno tappeti rossi ai piedi.

Ma guai a lui se comincia a perdere colpi, perché i tappeti glieli strapperanno di sotto rimandandolo nel buio da cui è uscito. Si prenda, per esempio, il celebrato Saviano, autore di Camorra. Ingolosito dal successo debordante e dallo starring televisivo del funereo scrittore, il suo editore ha stampato un numero spropositato di copie del di lui nuovo Zero zero zero, molte delle quali rischiano ora di restargli sul gozzo (e sul conto perdite, visto che anche tenerle in magazzino costa).

Inizi col flop: mancava qualcosa

Ma torniamo al nostro Brown, che è tanto consapevole della precarietà del suo mestiere da, si dice, appendersi a testa in giù per fare affluire sempre nuove idee al cervello. Certo, quel che ha fin qui guadagnato gli basta a vivere di rendita, ma i riflettori sono una droga dalla quale è arduo disintossicarsi quando si spengono. Il sottoscritto ha letto tutta l’opera browniana e si è fatto un’idea precisa del modus operandi del Nostro. Il quale aveva cominciato con un thriller di stampo classico, La verità del ghiaccio. Ben costruito, ricchissimo di colpi di scena, ottima suspence.

Ma era la solita roba: complotti internazionali, Cia, elicotteri, inseguimenti, lotta contro il tempo. Infatti, nessuno se ne accorse. Allora il Nostro virò su un argomento che «tira» sempre: il Vaticano. E fu Angeli e demoni. Si badi, sto seguendo la cronologia di esordio delle opere browniane, rimesse in circolo solo dopo il successo del Codice Da Vinci. Ma pure Angeli e demoni non fu sufficiente a portare Brown alla ribalta. Infatti, mancava qualcosa. Il Vaticano «tira», sì, ma solo se ne se parla male. In questo caso magari interviene qualche manina che aiuta il «caso editoriale» a éclater, come dicono i francesi. E così, la «caccia al tesoro» del protagonista fisso Robert Langdon, che in sole ventiquattr’ore risolve  misteri millenari, diventa un fenomeno non solo letterario ma pure sociale.

Eggià: settanta milioni di copie sono un numero di lettori superiore agli abitanti di una pur grossa nazione europea, sono altrettanti cristiani che si son sentiti «rivelare» che Cristo non era Dio e che la Chiesa ha truffato l’umanità per duemila anni. Dan Brown dev’essere, per forza di mestiere, un lettore onnivoro: dalle riviste di divulgazione scientifica ai libri di «misteri», dalle guide turistiche ai testi di enigmistica. Ora che può spendere, un sopralluogo nei posti che intende descrivere e uno studio delle mappe cittadine sono per lui consueti. Più, la consulenza di informatici, traduttori, medici, chimici eccetera.

Secondo la moda dei romanzi d’azione americani, tutto è minuziosamente riportato, dai modelli d’auto alle marche delle bibite. Il che permette, tra l’altro, di superare le cinquecento pagine, perché il lettore medio americano non spende venticinque dollari per meno. Ma l’americanità di Brown si nota di più all’estero. Infatti, solo un americano medio potrebbe pensare che «Da Vinci» sia il cognome di Leonardo, laddove uno europeo avrebbe titolato Il codice di Leonardo.

Ora, se uno fosse complottista, dopo la lettura dell’opera successiva del Nostro, // simbolo perduto, potrebbe dire: ecco il se­greto del successo di Dan Brown, è massone. Infatti, quanto Il Codice Da Vinci parla male della Chiesa tanto // simbolo perduto parla bene della Massoneria. Dunque, sono stati i «fratelli» a decretare, e pompare, il boom di Dan Brown. Solo che, se così fosse, // simbolo perduto avrebbe dovuto ripetere l’exploit del Codice. Invece, così non è stato.

Il tiro al bersaglio dove vinci sicuro

Se ne deduce che Dan Brown, nei suoi romanzi «a tesi» (quelli classici, come  La verità del ghiaccio, non fanno discutere e quindi fanno flop), si rivela per quel che semplicemente è: uno che sta bene attento a lisciare i veramente potenti, quelli di cui è meglio parlare solo bene. Così, con Inferno, è tornato a parlar male della Chiesa. Che, a differenza di altre forze di respiro planetario, non ha i mezzi per fargliela pagare cara. Infatti, le «tesi» dei suoi romanzi (specialmente l’ultimo) sono così politicamente corrette da rasentare il banale.

In Inferno il clou è che c’è la sovrappopolazione. E sai la novità. Tutti i meritori sforzi per farvi fronte sono vanificati dal Vaticano («un gruppo di ottuagenari celibi che pretendono di insegnare come si fa sesso») che manda in Africa torme di missionari a predicare criminalmente la fecondità. Se avesse letto Veltroni, Brown saprebbe che questa storia gli italiani l’avevano già sentita. Ma, che volete, un americano non può leggere tutto, qualcosa sempre sfugge. Per il resto, la solita caccia al tesoro in ventiquattr’ore da parte di Robert Langdon (che insegna ad Harvard!), sempre inseguito da qualche brutto ceffo, e in compagnia di una bella donna.

Consigliamo a Dan Brown di rinnovarsi, come ha fatto l’autrice di Harry Potter, perché il cliché a lungo andare stufa. Per quanto riguarda gli «ottuagenari» contrari alla contraccezione, ce ne sono anche tra gli imam islamici e tra i rabbini  ortodossi ebraici. Ma questi è meglio non stuzzicarli (il caso Salman Rushdie ha insegnato molto agli scrittori). C’è una sola  organizzazione mondiale che perde d’immagine se si vendica: la Chiesa. La perderebbe all’esterno ma anche tra molti dei suoi adepti.

Perciò, è l’unico tiro al bersaglio in cui si vince sicuro. Noi cattolici, che nella scommessa di Pascal abbiamo puntato tutto sull’altro cavallo, ricordiamo le parole del nostro Maestro, il quale fece presente una cosa ovvia: puoi accumulare tutti i soldi e la fama del mondo, ma dovrai lasciare tutto anche tu, e che cosa potrai dare in cambio per la tua anima? I mondani rispondono che, tanto, loro non ci credono. Sta appunto qui la scommessa. Ci vediamo all’Altro Lato.

Fonte: Rassegna stampa – Centro Cattolico di Documentazione di Marina di Pisa – Dan Brown e l’inferno: i soliti trucchi.

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