Sammak: «Islam con le spalle al muro, reagiamo alla violenza»

di Manuela Borraccino

(Roma) – Non basta più «condannare gli attacchi ai cristiani»: «l’Islam è sempre più messo all’angolo in tutto il mondo, è nel nostro interesse che i governi dei Paesi a maggioranza islamica passino dalle parole ai fatti» contro l’estremismo violento. Mohammed Sammak, uno dei più autorevoli rappresentanti del mondo dell’Islam sunnita, ammette di sentirsi «sempre di più messo sotto accusa» per il nome stesso che porta e per la fede che professa mentre i massacri di cristiani da parte dei musulmani aumentano in vari Paesi, dalla Nigeria al Pakistan passando per le feroci aggressioni in Egitto e in Siria.

Invitato dalla Comunità di Sant’Egidio all’incontro internazionale per la pace Il coraggio della speranza, Mohammed Sammak – segretario generale del Comitato per il dialogo islamo-cristiano, del comitato esecutivo per il gruppo arabo islamo-cristiano e per il Vertice spirituale islamico – riconosce che «l’Islam è messo all’angolo in tutto il mondo per via dei violenti». «Non è più tempo di parlare, è ora di agire, siamo tutti quanti in pericolo», dice a Terrasanta.net.

Dottor Sammak, nelle ultime due settimane si è registrata una nuova ondata di terrorismo a Peshawar, in Pakistan, contro due chiese cristiane, a Nairobi con decine di vittime, minacce quotidiane contro i cristiani in Egitto e in Siria… Come considerare questi attentati di matrice islamica?
Io non parlerei di islamismo, ma di massacri compiuti in nome dell’Islam. Questi terroristi si richiamano all’Islam, ma il loro presunto credo è cosa ben diversa dall’autentica fede islamica. Ciò di cui i musulmani dovrebbero rendersi conto è che questo è pericoloso per l’Islam e per i musulmani, e pericoloso per la convivenza fra cristiani e musulmani in tutto il mondo. Difendere l’Islam oggi significa prendere una posizione forte contro l’estremismo: è assolutamente necessario. Non si tratta solo di mostrare solidarietà con i cristiani attaccati, e purtroppo non solo in medio Oriente. Non basta più dire: «Noi condanniamo…» Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per la salvezza dell’Islam e del cristianesimo e per le relazioni islamo-cristiane. Questo vuol dire che è una responsabilità e compito urgente dei musulmani rispettare quello che il Corano dice sui credenti di altre religioni, in particolare sulle Genti del Libro, ebrei e cristiani, e di rispettare i detti del profeta sul rispetto degli altri. E bisogna fare qualcosa collettivamente per difendere noi stessi come musulmani: si tratti dell’Organizzazione dei Paesi islamici o di altre istituzioni. E dobbiamo farlo subito. I tempi sono maturi per questo.

Che cosa è cambiato rispetto al recente passato?
Io penso che sono stati fatti troppi danni, la sofferenza causata dai violenti non è più tollerabile. Siamo andati avanti per anni a dire che i terroristi erano una minoranza deviata che non rappresentava l’Islam, oggi non possiamo più aspettare a fare qualcosa: i cristiani sono ormai facili bersagli degli estremisti, e questo è estremamente pericoloso per il futuro della regione. È pericoloso per gli stessi musulmani, perché cristiani e musulmani sono sulla stessa barca contro l’estremismo violento. Dobbiamo agire insieme, perché l’estremismo violento è nemico di entrambi.

Che cosa suggerisce di fare alle istituzioni religiose di cui lei è membro?
Tutti sono d’accordo sul principio, più difficile è capire come raggiungere le basi. Certamente molto può essere fatto attraverso l’istruzione, la scuola, i mass media. Ma siamo consapevoli che questo richiede tempo, e il tempo non è dalla nostra parte. Un terzo della popolazione del mondo arabo è analfabeta. Secondo i rapporti dell’Unesco un cittadino statunitense legge in media undici libri l’anno, un europeo nove, un arabo ne legge uno intero ogni quattro anni. Il mondo arabo investe un miliardo e mezzo di dollari all’anno complessivamente sulla ricerca scientifica, e due miliardi all’anno in prodotti di bellezza. Questi sono i dati che dobbiamo tenere presenti per leggere una situazione che è sempre più difficile e incendiaria, non solo in Medio Oriente. Per questo penso che per i governi sia ora di agire, almeno quelli che hanno il potere di farlo visto che, com’è sotto gli occhi di tutti, numerosi governi in Medio Oriente, in Nord Africa ed in altri Paesi a maggioranza musulmana – come il Pakistan – sono quasi paralizzati. Questo è il nostro problema. In generale è sempre più forte e diffusa la consapevolezza della necessità di reagire con forza contro il dilagare della violenza, ma come tradurre queste intenzioni nella realtà è assai più difficile.

All’inizio delle rivolte arabe si era parlato di una sconfitta dell’Islam politico, forse un po’ troppo sbrigativamente. Come legge l’ascesa dell’Islam radicale in tutto il nord Africa?
Le rivolte erano espressione di una ricerca di condizioni di vita migliori, di benessere, dignità, sviluppo: purtroppo abbiamo visto l’estremismo religioso appropriarsi di queste rivolte in Egitto, in Siria, in Libia… Oggi la paura dominante, non solo fra i cristiani, è di passare da un dispotismo politico a un dispotismo religioso, che è assai peggio delle tirannie. Le società arabe sono storicamente società pluraliste nelle religioni, nelle culture, nelle lingue, mentre oggi assistiamo al tentativo di cancellare l’altro. Basti vedere quello che sta avvenendo con Boko Haram in Nigeria, ma anche in Pakistan e in Somalia… Questa distruzione della cultura del vivere insieme mette musulmani e cristiani nella stessa trincea: l’estremismo colpirà domani gli stessi musulmani che sono a favore del pluralismo come oggi si accanisce contro i cristiani. Solo se la presenza dei cristiani verrà preservata noi vedremo uno dei frutti della Primavera araba.

Che ne pensa del colpo di Stato che ha deposto il presidente Mohammed Morsi in Egitto?
Personalmente sono a favore della democrazia, ed è stato evidente che il comportamento tenuto dal presidente Morsi e dai Fratelli Musulmani una volta arrivati al potere è stato antidemocratico. Gli egiziani cercavano innanzitutto dignità umana, opportunità di lavoro e di studio, di sviluppo, una vita migliore… e tutto quello che hanno visto è stato un arroccamento sul potere e l’esclusione di intere componenti del popolo egiziano dal processo di democratizzazione in corso. È stato un errore fatale, e la mia impressione è che gli egiziani stiano pagando caro questo errore.

Molti si chiedono a cosa servano i raduni interreligiosi come quello che si è svolto in questi giorni a Roma, visto che poco o nulla cambia sul terreno. Lei si sente messo sotto accusa come rappresentante dell’Islam sunnita?
Francamente mi sento messo sotto accusa per il nome che porto… Mi sento spesso accusato, o nella migliore delle ipotesi giudicato, per il fatto di portare questo nome. Ma allo stesso tempo prendo questa circostanza come uno sprone ad essere il più possibile fedele all’eredità religiosa islamica: cerco di ricordare a me stesso che difendere la mia religione, difendere in qualche modo il nome che porto, significa in primo luogo dare testimonianza del vero Islam, dell’Islam più autentico. Per questo penso che la strada sia ancora lunga, e dobbiamo andare avanti.

Fonte: Terrasanta.net.

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