San Patrizio: patrono degli irlandesi e degli omofobi ~ CampariedeMaistre

di Riccardo Facchini

 

Ieri era San Patrizio e non pochi miei amici hanno pensato bene di sfruttare l’occasione per scolarsi un paio di birre in più del solito gironzolando per gli Irish pub della capitale. Io sono rimasto a casa a vedere la partita della Roma. Un milione circa di neworkesi ha invece celebrato l’evento come la tradizione vuole: sfilando rigorosamente in verde – Pontida? Please… – e colorando festosamente le strade della Grande Mela.

Chi mai avrebbe potuto guastare la festa
a chi, di origine irlandese e non, aveva deciso di occupare pacificamente degli spazi pubblici per una parata ispirata a una festività religiosa, intenzionato unicamente a gozzovigliare e a scolarsi fiumi di birra? Gli Alcolisti Anonimi? Un qualche fronte proibizionista? Un comitato di quartiere? No: ovviamente le lobby gay.
 
Gli organizzatori della parata avevano infatti da tempo proibito di esibire striscioni, simboli o slogan esplicitamente ricollegabili ad associazioni gay. Il prevedibile risultato è stato quello di concentrare su di sé la potenza di fuoco di soliti gruppetti che, giocandosi il jolly, hanno subito gridato all’emergenza omofobia. Lo starnazzare degli omosessuali di professione  – con in prima fila gli “Irish Queers” – ha attirato un codazzo di tutto rispetto, composto dal sindaco di Boston, dal neo sindaco di New York De Blasio nonché da due main sponsor della parata: la Heineken e l’irlandesissima Guinness, che hanno infatti deciso di non presenziare in maniera ufficiale all’evento.
Ora, che De Blasio – uno che riesce a far sembrare un bieco conservatore l’ex sindaco di Londra Ken Livingstone (quello talmente ecologista da non tirare lo sciacquone)  – abbia disertato era perfettamente prevedibile, viste le sue notorie posizioni liberal. Ciò che sorprende – ma manco troppo – è ormai la prona subordinazione delle grandi multinazionali alle parole d’ordine dettate da lobbies forse ancora più potenti di quelle di cui fanno anch’esse parte. Tra un notevole ritorno di immagine dato dalla sponsorizzazione di un grande evento e l’amicizia del mondo arcobaleno, a quanto pare hanno infatti preferito quest’ultima.
Concludo con un paio di dediche, che oggi mi sento buono. La prima è per le anime belle di casa nostra, quelle che “vabbè queste sono esagerazioni, da noi non si arriverà mai a tanto”, ricordandogli che città come New York sono da decenni le incubatrici di avanguardie ideologiche che, lentamente, hanno fatto e faranno breccia anche nella “bigotta” Italia. La seconda va a mr. Federico Rampini, corrispondente per Repubblica da NY, che – nel suo pezzo – ha definito la Guinness birra “rossa”. Spero vivamente per Rampini che sia stato un errore di distrazione: va bene omosessualisti, ma pure astemi…

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