Se 140 caratteri bastano nel raccontare la gioia della fede – Vatican Insider

Un riflessione sullo sbarco del Papa sulla piattaforma Twitter

Antonio Carriero

La presenza di Benedetto XVI su Twitter e suo primi “cinguettii” danno coraggio a tutti i cristiani nel continuare a rendere ragione della speranza che è in noi (1Pt 3,15), senza scendere a compromessi twittando frasi contro la fede per avere più “seguaci” (followers).
Le ragioni della presenza cristiana nella Rete è inscritto nel DNA della Chiesa dal giorno della Pentecoste: gli apostoli, ricolmi di Spirito Santo, iniziarono a parlare nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2,3-4), per farsi capire nella lingua di altri popoli. Oggi lo facciamo in Rete, con un linguaggio diverso, più sintetico.
Ci siamo convinti di questa missione non per una presenza fine a se stessa, “ma per rinnovare la fraternità e l’amicizia con chi è ancora lontano da Dio” (1Mac 12,10).
La storia della chiesa ci suggerisce che della Rete, i cristiani, ne sono pionieri.
Volgendo lo sguardo al passato, i Padri della Chiesa, veri Padri della Comunicazione Cristiana, si prodigarono instancabilmente nella produzione di testi apologetici della fede, incoraggiandone la condivisione fra i cristiani e i pagani.
Oggi la condivisione è un valore molto sentito, soprattutto in Rete, dove, con un semplice retweett, si spezza anche la Parola di Dio a beneficio di tutti.
Dio è dove agisce. Agisce in ogni luogo, anche in Rete, perciò è onnipresente.
Bisognerebbe chiederlo a quanti, per un motivo o per un altro, sono lontani dai sacramenti, ma da casa o dal posto di lavoro leggiucchiano – magari frettolosamente – un passo biblico su un social network e ne fanno una giaculatoria per tutta la giornata.

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