Se il modello di convivenza libanese indica la strada per il Medio Oriente – Vatican Insider

L’analisi del direttore scientifico della Fondazione Internazionale Oasis

Martino Diez*

Roma

Una certa retorica del “Paese messaggio” non è nuova in Libano. Ufficialmente tutto va bene, la guerra civile è archiviata e la concordia regna sovrana. «Ma come regola generale bisogna sempre postulare una certa distanza tra le dichiarazioni e le azioni» ci ricordava l’altro giorno il filosofo Nassif Nassar.

E anche nei numerosi discorsi di natura politica programmati durante la visita apostolica, all’arrivo in aeroporto venerdì e soprattutto al palazzo presidenziale, sabato mattina, si poteva insinuare il rischio di una celebrazione acritica della vita in comune all’ombra dei cedri.

In realtà che le cose sarebbero andate più in profondità lo si era già capito dal discorso con cui il Presidente della repubblica, Michel Sliman, aveva accolto il Papa al Palazzo presidenziale. Certo, i saluti e le dichiarazioni di rito non erano mancati. Ma il Presidente libanese da un lato aveva esortato i cristiani a partecipare maggiormente all’edificazione del bene comune (ciò che può essere letto come un’ammissione implicita di una difficoltà) e dall’altro aveva sottolineato con quanta preoccupazione il Paese dei Cedri guardi agli avvenimenti circostanti, insistendo sulla neutralità del Paese, attorno a cui tutte le forze politiche hanno raggiunto un accordo.

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