Se il relativismo si impone come norma

«È reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione»: è quanto afferma l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario della Segreteria di Stato per i Rapporti con gli Stati a proposito delle recenti sentenze della Corte europea dei diritti su alcuni casi afferenti il rispetto della libertà religiosa nel Regno Unito.

La Corte di Strasburgo ha infatti sancito il diritto ad indossare simboli religiosi sui luoghi di lavoro, salvo il caso in cui esigenze di sicurezza e igiene lo sconsiglino, come per esempio negli ospedali, ma contestualmente ha negato il diritto all’obiezione di coscienza a una impiegata comunale che si era rifiutata per motivi religiosi di celebrare unioni civili fra omosessuali e a un terapista che si era rifiutato di fornire consulenza sessuale sempre a coppie dello stesso sesso.

«Questi casi — spiega il presule in un’intervista con Olivier Bonnel per Radio Vaticana, che riportiamo integralmente — dimostrano che le questioni relative alla libertà di coscienza e di religione sono complessi, in particolare in una società europea caratterizzata dall’aumento della diversità religiosa e dal relativo inasprimento del laicismo. È reale il rischio che il relativismo morale che si impone come nuova norma sociale venga a minare le fondamenta della libertà individuale di coscienza e di religione. La Chiesa desidera difendere le libertà individuali di coscienza e di religione in ogni circostanza, anche di fronte alla “dittatura del relativismo”. Per questo, è necessario illustrare la razionalità della coscienza umana in generale, e dell’agire morale dei cristiani in particolare. Quando si tratta di questioni moralmente controverse, come l’aborto o l’omosessualità, deve essere rispettata la libertà di coscienza. Piuttosto che un ostacolo allo stabilimento di una società tollerante nel suo pluralismo, il rispetto della libertà di coscienza e di religione ne è condizione. Rivolgendosi, la settimana scorsa, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Benedetto XVI sottolinea che per salvaguardare effettivamente l’esercizio della libertà religiosa, è quindi essenziale rispettare il diritto all’obiezione di coscienza. Questa “frontiera” della libertà sfiora principi di grande importanza, di carattere etico e religioso, radicati nella stessa dignità della persona umana. Sono come i “muri portanti” di qualsiasi società voglia definirsi veramente libera e democratica. Di conseguenza, vietare l’obiezione di coscienza individuale e istituzionale, in nome della libertà e del pluralismo, aprirebbe al contrario – paradossalmente – le porte all’intolleranza e ad un livellamento forzato. L’erosione della libertà di coscienza testimonia altresì una forma di pessimismo nei riguardi della capacità della coscienza umana a riconoscere quanto è bene e vero, a vantaggio della sola legge positiva che tende a monopolizzare la determinazione della moralità. È anche il ruolo della Chiesa ricordare che ogni uomo, qualsiasi sia il suo credo, è dotato dalla sua coscienza della facoltà naturale di distinguere il bene dal male e quindi di agire di conseguenza. In questo risiede la fonte della sua vera libertà.

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