Sei lezioni dalla morte in Belgio

di Michael Cook

Ti guardano con un lieve distacco, non aggressivo, non amichevole, non felice, non triste. Solo distaccato. Due belgi di mezza età con la testa rasata, la barba incolta e occhiali ovali bordati di scuro. L’orecchio sinistro dell’uomo sulla destra sporge di un angolo più acuto. Ma per il resto le due facce sono una stessa faccia. Erano i volti dei due gemelli identici quarantacinquenni, Marc e Eddy Verbessem.

Due settimane prima di Natale un medico li ha eutanasizzati all’Ospedale dell’Università di Bruxelles. È stata una procedura perfettamente legale. Tutti i riquadri erano stati compilati e tutti i documenti firmati. I due uomini erano sordi e stavano lentamente diventando ciechi. Non avevano nulla per cui vivere. Dicevano.

Ma quasi tutti hanno pensato che ci fosse qualcosa di disumano e freddo in una società che ha tradito questi uomini semplici quando potevano vedere, e li ha uccisi quando non potevano.

Come caso paradigmatico di eutanasia belga, vale la pena esaminare com’è avvenuto e che cosa rivela di un diritto legalizzato a morire.

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Marc e Eddy Verbessem sono nati sordi. Non si sono mai sposati e vivevano insieme, lavoravano come calzolai. Quando hanno scoperto che avevano un’altra malattia congenita, una forma di glaucoma, hanno chiesto l’eutanasia. Non potevano sopportare l’idea di non vedersi più.

Secondo il loro medico di famiglia, David Dufour, avevano anche altri problemi di salute, incluso un debilitante mal di schiena. “Tutto quanto insieme rendeva la vita insopportabile” ha detto al London Telegraph.

La loro famiglia si è opposta alla loro decisione. E così ha fatto l’ospedale locale. Ci sono voluti quasi due anni per trovare un medico disposto a somministrare una iniezione letale secondo la legge sull’eutanasia in Belgio. È stato il professor Wim Distlemans, noto attivista pro-eutanasia. Sembra orgoglioso di aver svolto un ruolo chiave nella “prima volta al mondo che una ‘doppia eutanasia’ è stata eseguita su fratelli”.

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