Sentenza Consulta su legge 40 è da stato di polizia | Tempi.it

aprile 10, 2014 Luigi Amicone

Con la bocciatura del divieto sull’eterologa, i giudici si incaricano di coprire tutte le parti del gioco democratico. E così annullano per sentenza pure l’espressione più democratica, diretta e cristallina della volontà popolare: il referendum

fecondazione in vitroCon la sentenza che ha, nei fatti, cassato la legge 40, la Corte Costituzionale ha messo a segno un bel doppio colpo: ha introdotto anche in Italia la figura del “padre biologico anonimo” e ha messo nuovamente in mora la sovranità popolare. Toccherà domani ai costituzionalisti di establishment indorare la pillola. Ma c’è poco da girarci intorno: questa sentenza è un ennesimo attacco alla democrazia rappresentativa.

Infatti, ben al di là dell’argomento in questione (che è pure molto rilevante, tant’è che, al tempo del referendum, la questione della cosiddetta “fecondazione assistita” fu oggetto di un grande e rovente dibattito pubblico, in parlamento, sui giornali, nelle piazze italiane), qualunque cosa si pensi della legge 40, il problema serio che pone la sentenza è in questa domanda: perché la Consulta non ha sancito per tempo la “illegittimità” di una legge che conteneva il divieto di fecondazione eterologa? Come è possibile che con sentenza del 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale cancelli di fatto l’esito di un referendum popolare, dopo che con sentenza del 13 gennaio del 2005 la stessa Corte ne aveva sentenziato l’ammissibilità?

Dunque, continua a succedere questo nell’Italia della giustizia politicizzata: prima la Corte Costituzionale dà il via libera a un referendum voluto dai radicali e dalle sinistre per abrogare una legge non condivisa da una parte della politica. Poi, dieci anni dopo, la medesima Corte cancella l’esito del referendum a cui lei stessa aveva dato il nulla osta. Conseguenza pratica? Invece di eventualmente richiamare le vie deputate (parlamento, governo, nuovo referendum) a cambiare, correggere o a cancellare una legge, i giudici si incaricano di coprire tutte le parti del gioco democratico. E così annullano per sentenza pure l’espressione più democratica, diretta e cristallina della volontà popolare.

Naturalmente, costituzionalisti pagati per difendere uno Stato divenuto ormai proprietà privata di organi non rappresentativi e di corporazioni autoritarie, troveranno i modi e le espressioni “tecniche” per legittimare un ennesimo atto togato che minaccia o, per lo meno, svuota, l’articolo 1 della Costituzione italiana. Ma se quanto recita l’articolo 1 della Costituzione italiana vale anche per i giudici della Corte Costituzionale, è impossibile non rilevare che se «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» nessuna Corte, neppure la più alta, è legittimata a sentenziare lo svuotamento e il pratico annullamento dei risultati di un referendum popolare.

Magari qualcuno si inventerà che tra le “forme” e i “limiti” previsti dall’articolo 1 ci sono anche quelli imposti dalle sentenze della Consulta. Impossibile. Primo perché, come si è detto, se tu Corte Costituzionale dichiari un referendum ammissibile non puoi poi ribaltarne i risultati perché non ti piace come vota il popolo, perché ci hai messo dieci anni per scoprire che il referendum che avevi ammesso contiene elementi “illegittimi”.

Secondo, perché se la sovranità popolare fosse condizionata da forme e limiti sanciti dalla Corte Costituzionale, bè allora bisognerebbe logicamente dedurne che parlamento, governo e referendum italiani sono solo organi consultivi. Il che sarebbe assurdo in democrazia, ma non negli stati di polizia.

PS. Al di là della vicenda di cronaca, c’è una curiosità sulla nostra Corte Costituzionale che nemmeno Matteo Renzi ci ha ancora tolto ed è la seguente: perché la spendig review prevede tagli ai funzionari dello Stato e tagli agli amministratori di grande aziende dello Stato (i cui tetti retributivi non possono superare la retribuzione del Capo dello Stato, 239 mila euro), mentre i giudici della Corte Costituzionale, anch’essi alti funzionario dello Stato, ne sono esenti? Gli stipendi di quindici giudici ci costano, nel 2014, quasi 9 milioni. Faccio questa domanda così, giusto per sapere quanto ho dovuto pagare in tasse una Corte che se ne fotte del mio voto democraticamente espresso.

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