Shabaab, la Somalia esporta il terrore

L’attentato contro due chiese cristiane che ha provocato la morte di una ventina di persone a Garissa (Kenya) è il frutto di un’offensiva dei fondamentalisti islamici contro i cristiani o è «solo» un episodio di un conflitto regionale? In questi giorni gli analisti di molti centri studi sull’Africa stanno cercando di rispondere a questa domanda. Un’impresa non semplice perché, se è vero che il sanguinoso episodio può essere letto in chiave locale, è anche vero che esso si inserisce in uno scontro con connotati sempre più internazionali.

Dietro i due attentati, che non sono stati rivendicati, molti analisti internazionali intravvedono la mano degli shabaab, il movimento fondamentalista islamico somalo. Il movente sarebbe chiaro: punire il Kenya, colpevole di essere intervenuto militarmente in Somalia a fianco del Governo di transizione nazionale e dell’esercito etiope. Garissa è una cittadina che conta circa centomila abitanti, dista meno di cento chilometri dalla Somalia. Qui i miliziani shabaab si muovono praticamente indisturbati, vantando una rete di complicità tra la popolazione, che è quasi interamente di etnia somala. Non solo, a Garissa ha la propria base il comando delle forze armate dal quale dipendono le truppe che combattono nella vicina ex colonia italiana. Quindi un attentato in questa cittadina di confine per gli shabaab non solo è più semplice da portare a termine, ma ha anche un alto valore simbolico.

Non è un caso che, dall’invasione kenyana della Somalia nell’ottobre 2011, proprio gli shebaab abbiano organizzato in questa cittadina una serie di attentati a locali notturni, centri commerciali, stazioni degli autobus. Attentati che si sono sommati a quelli organizzati in altre parti del Kenya. Come quello avvenuto venerdì scorso nel campo profughi di Dadaab (dove vivono in condizioni precarie circa 400mila somali). Qui un gruppo di miliziani somali ha attaccato un convoglio di aiuti umanitari, uccidendo un autista e rapendo sei cooperanti. Solo per una casualità non sono riusciti a catturare il Segretario generale del Consiglio norvegese dei rifugiati, Elizabeth Rasmussen che viaggiava nello stesso convoglio.

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