Shimabara 1637: la rivolta dei samurai cristiani ~ CampariedeMaistre

di Federico Sesia

 

Nel lontano Giappone di epoca moderna si verificò un fatto pressoché unico nella storia dell’isola: una ribellione di samurai professanti la religione cristiana che riuscirono a resistere, nella zona di Shimabara, per mesi interi all’assedio di un esercito che poteva vantare una netta superiorità sia in termini numerici che di equipaggiamento. Allo scopo di comprendere appieno i fatti avvenuti a Shimabara nel 1637 e conclusisi nel 1638, è necessario avere uno sguardo di insieme sulla storia del Cristianesimo giapponese di quel periodo.

Il primo contatto tra Cattolicesimo e Giappone ebbe come tramite il gesuita San Francesco Saverio, il quale nel 1549 arrivò nel paese ponendo le basi per un’opera di evangelizzazione che nel giro di una quarantina d’anni fruttò la conversione di circa sessantamila giapponesi, al punto che il visitatore apostolico Alessandro Valignano nel 1582 potette portare con sé a Roma quattro nobili nipponici di Fede cattolica. 
Inizialmente l’atteggiamento delle autorità giapponesi nei confronti dei missionari provenienti dall’Europa fu di indifferenza. I primi attriti si ebbero sotto Hideyoshi Toyotomi, il quale inizialmente manifestò la sua volontà di farsi battezzare insieme con tutti i suoi sudditi in cambio dell’appoggio navale portoghese per i suoi progetti di conquista della Corea e della tolleranza delle sue numerose concubine, desiderio quest’ultimo che ovviamente non poteva essere esaudito dai missionari cristiani, il cui diniego provocò l’irritazione di Hideyoshi. Per la persecuzione vera e propria si dovette però attendere fino a quando un daimyo (signore locale) procedette al sequestro del carico di una nave spagnola incagliatasi nella costa giapponese, sulla quale si trovavano anche dei missionari. Il comandante di bordo, per protestare contro tale atto, affermò che quei missionari erano sotto la protezione del Re di Spagna, affermazione che consentì ai bonzi buddisti di sostenere che essi fossero in realtà una sorta di quinta colonna al servizio degli europei. La reazione di Hideyoshi fu quella di espellere tutti i missionari dal Giappone. 

Un inasprimento delle misure persecutorie si ebbe durante lo shogunato di Tokugawa Ieyasu, il quale, dopo aver avuto la meglio sul nemico Hideyoshi, ordinò ai suoi sudditi di tornare alle loro precedenti religioni, e soprattutto con il suo successore e figlio Hidetada, fanaticamente buddista, che ordinò di radere al suolo tutte le chiese presenti sul suolo giapponese. Con lo shogun Tokugawa Iemitsu, figlio di Hidetada e salito al potere nel 1622, si arrivò a imporre ai cristiani la scelta tra l’abiura della loro religione o il martirio, riducendo nel 1637 il Cristianesimo giapponese ai minimi termini. In quell’anno la maggioranza dei cristiani si era rifugiata nel sud del paese insieme con numerosi samurai professanti la medesima Fede, e fu proprio in quest’area (per l’esattezza nella penisola di Shimabara) che scoppiò nel 1637 quella ribellione passata alla storia col nome di Shimabara no ran.

La causa della rivolta tuttavia non ebbe fin dall’inizio connotati religiosi: il motivo scatenante furono l’opprimente carico fiscale e le angherie che i sudditi subivano dal daimyo locale. Ad esse fu però contemporanea la materializzazione miracolosa di una cornice attorno ad un’icona segretamente venerata da un cristiano locale, la quale in seguito al miracolo attirò numerosi fedeli che vennero inesorabilmente giustiziati, scatenando una protesta che culminò nel linciaggio di un responsabile dell’ordine pubblico inviato per risolvere la questione. Da quel momento la ribellione dei cristiani e la rivolta di Arima si fusero in un unico moto, trovando un leader nella figura del samurai sedicenne di Fede cristiana Amakusa Shiro, le cui gesta rimangono tutt’ora leggendarie in Giappone.

Inizialmente sottovalutata dal governo centrale, la rivolta potette estendersi fino a contare 50mila aderenti e a controllare la penisola di Shimabara, sconfiggendo in campo aperto le forze mandate a reprimerla. Fu solo allora che Tokugawa Iemitsu temette, data la natura religiosa dell’episodio, un intervento armato spagnolo o portoghese in sostegno alla rivolta, eventualità che però non si sarebbe potuta verificare, dato l’infuriare della Guerra dei Trent’Anni nell’Europa del tempo. 

I ribelli, ben consapevoli di trovarsi in netta inferiorità numerica e di fronte ad un più che probabile intervento armato dello shogun, decisero di trincerarsi all’interno del castello di Hara, situato sulla penisola. Fu in questa fortezza che resistettero per mesi all’incalzare delle forze nemiche, pur essendo numericamente inferiori, con scarso equipaggiamento e con poche scorte alimentari. Il castello venne circondato nel gennaio del 1638, mentre veniva bombardato via mare, ma i ribelli cristiani mostrarono una incredibile resistenza riuscendo a respingere perfino i temuti ninja inviati contro di loro. Di fronte all’invio del generale Nobutsuna, Itakura (il primo comandante delle truppe d’assedio) temette di perdere il merito della vittoria sui ribelli e ordinò quindi un assalto che si concluse il 14 febbraio con un fallimento e con la sua morte (unitamente a quella di 4000 assedianti). 

Una volta giunto sul campo, Nobutsuna offrì una resa condizionata agli insorti, garantendo loro salva la vita, una ricompensa in risaie e un esenzione perpetua dalle imposte. L’offerta fu però rifiutata in quanto tale ribellione non era finalizzata a porre fine all’oppressione fiscale, ma al conseguimento della libertà religiosa.
In seguito al fallimento delle trattative, gli assedianti ricorsero al bombardamento navale messo in atto da una nave olandese, la quale per due settimane cannoneggiò la fortezza di Hara provocandole ingenti danni. Tale tipologia d’attacco venne però abbandonata perché si temeva che ricorrere ad un appoggio straniero equivalesse a dare una prova della debolezza giapponese nel domare la rivolta.

Successivamente ad una sortita cristiana dei primi di aprile, che si risolse in un fallimento, Nobutsuna comprese che gli assediati erano ormai alla fame, decidendo quindi di progettare l’assalto finale che avrebbe stroncato per sempre la ribellione di Shimabara. Accadde però un imprevisto: il 12 aprile il segnale per l’inizio del piano venne dato per errore, provocando un attacco generale che Nobutsuna non poteva fermare. Gli scontri si protrassero per due giorni e due notti, durante i quali i cristiani poterono dare prova della loro straordinaria capacità di resistenza, riuscendo a resistere fino alla sera del 15 aprile 1638, giorno della capitolazione della fortezza di Hara. Ad assedio concluso, i superstiti cristiani vennero uccisi e anche Amakusa Shiro, il leggendario samurai sedicenne che comandò gli insorti, perì dopo l’ultima battaglia. Ad ogni modo, la vittoria era stata pagata ad un prezzo molto alto per Tokugawa Iemitsu: ben settantamila samurai persero la vita durante un assedio contro un nemico che non poteva vantare né il loro numero né il loro equipaggiamento. 

Il Cristianesimo giapponese all’indomani di Shimabara sopravvisse nascondendosi nei meandri di piccole comunità che conservavano segretamente la Fede (i kakure kirishitan, cristiani nascosti), come quel gruppo di donne che nel 1865 palesò la propria fede cristiana di fronte a Padre Bernard Petitjean, sacerdote francese che esercitava il suo ministero in una chiesa di Nagasaki aperta per gli occidentali ma proibita ai locali. Per arrivare alla piena libertà religiosa si dovette aspettare fino al 1871, anno della Restaurazione Meiji nell’isola.
Ai fatti di Shimabara del 1637/38 si ispirò il film nipponico Shiro Amakusa, The Christian Rebel, datato 1962.  

 

Fonte: Shimabara 1637: la rivolta dei samurai cristiani ~ CampariedeMaistre.

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