Siria «Aleppo, armeni ancora vittime» – MissiOnLine.org

di Giorgio Bernardelli

La storia e le paure per la guerra vissute dalla comunità che qui scappò dopo il genocidio del 1915: parla il rettore del Pontificio Collegio Armeno, monsignor Noradounguian.

«La guerra è una vicenda in cui persone che non si conoscono affatto si massacrano ad unico vantaggio e gloria di altre persone che, al contrario, tra loro si conoscono e non si massacrano affatto». Utilizza le parole del poeta e filosofo Paul Valery per introdurre il dramma della sua terra mons. Kevork (Giorgio) Noradounguian. Viene da Aleppo, e oggi a Roma è il rettore del Pontificio Collegio Armeno, dove studiano i seminaristi della Chiesa armena cattolica (in gran parte siriani e libanesi) che a Roma si preparano al sacerdozio nelle università pontificie.Aleppo, una delle città simbolo del conflitto, spaccata in due a seconda dei quartieri controllati dall’esercito o dai diversi gruppi dei ribelli. Aleppo, luogo di un dramma nel dramma per la comunità armena: 80 mila persone, discendenti di chi proprio qui nel 1915 aveva trovato rifugio scappando dalla tragedia del genocidio. «Ad Aleppo c’era sempre stata una comunità armena, ma furono anche dei musulmani quelli che ci accolsero allora – tiene a precisare -. Lo fecero in nome del dialogo della vita, che era sempre stato di casa tra le persone di questa città. Tutto questo fino a due anni fa». Fino, cioè, a questa guerra civile che in Siria da mesi causa ormai almeno cento morti al giorno (non solo per via delle armi chimiche) e che l’accantonamento dell’ipotesi di un intervento internazionale non ha comunque fermato. Una guerra che ogni giorno che passa assume sempre più il volto settario della contrapposizione tra le diverse comunità che compongono il grande mosaico del Paese. Dramma che per gli armeni – in maniera particolare – ha il sapore di una tragica ripetizione della storia di un secolo fa.Di tutto questo, del dolore per quell’esempio di convivenza andato in frantumi mons. Noradounguian ha parlato durante la serata dedicata dal Centro missionario Pime di Milano il 2 ottobre scorso al dramma della Siria. «Sono nato in Siria nel 1968 e sono cresciuto ad Aleppo – racconta -. Mi sono trasferito per la prima volta in Libano dopo la terza media, quando sono entrato in seminario. È stato al primo rientro a casa che ho chiesto a mio papà: “Mi spieghi chi è un sunnita? Chi è un druso? Chi è un alawita?”. Io, giovane di 15 anni, in Siria non avevo mai sentito queste parole».Parla in maniera accorata padre Kevork. E non cerca per nulla di soppesare le parole nell’attribuire alle armi che arrivano ai ribelli dall’Arabia Saudita e dal Qatar (ma anche da alcuni Paesi occidentali) la responsabilità maggiore per questo conflitto così sanguinoso. «Lo ha detto anche Papa Francesco: sono le armi la vera causa di questa guerra – si infervora -. Smettano di rifornirli di armi e la situazione in Siria si calmerà. Del resto è un secolo, ormai, che il Medio Oriente non è altro che una sequela di questioni che si aprono e poi nessuno si preoccupa di chiudere. Sono armeno e quindi non posso non ricordare la questione del mio popolo. Ma dopo di noi sono arrivate anche la questione palestinese, quella irachena, adesso quella siriana. Quali di tutte queste ferite è stata risolta dalla politica?».

C’è chi gli rimproveradi chiudere gli occhi sui metodi polizieschi attraverso cui gli Assad per anni hanno imposto il loro governo sul Paese. «Ma la rimozione di chi ora considerate un dittatore vale una guerra da 100 mila morti? – risponde -. E l’esempio del dopo Saddam in Iraq, con il suo milione di morti, non è sufficientemente eloquente? Un semplice cittadino iracheno mi diceva: “Padre, lo sai? L’unico posto dove puoi dormire tranquillo in Iraq è accanto ai pozzi di petrolio. Se ti allontani cinquecento metri da un pozzo sei a rischio”. Basta uno sguardo semplice come questo per denudare tutti gli interessi della politica». Al di là delle analisi è comunque la strada per invertire la deriva confessionale in Siria ciò che sta più a cuore a padre Noradounguian. Anche gli armeni di Aleppo hanno visto poche settimane fa l’immagine giunta da Raqqa – un’altra città del Nord della Siria – dove i fondamentalisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante hanno abbattuto la croce di una loro chiesa sostituendola con la bandiera di al Qaeda. «Il figlio di mio fratello ad Aleppo oggi frequenta la prima media – racconta -. Quanta fatica e quanto tempo costerà alla nostra famiglia spiegargli che il musulmano è un nostro fratello nell’umanità. E la stessa fatica la faranno tutti quei musulmani che nutrono ancora amore e rispetto per tutti». C’è un’emergenza educativa in Siria, che non è  altra cosa rispetto a quelle visibili dei morti, dei profughi e delle macerie. «Spero che si possa giungere presto alla fine di questa guerra – conclude il rettore del Pontificio Collegio Armeno – e che sia possibile per tutti rientrare in Siria a ricostruire l’uomo. Ricostruire anche l’uomo musulmano, qualsiasi uomo creato da Dio a sua immagine. Anche in Siria ciascuno deve poter vivere il suo rapporto con Dio secondo la sua coscienza. Era già così e anche voi in Europa dovete aiutarci a far sì che torni a esserlo».

Fonte: Siria «Aleppo, armeni ancora vittime» – MissiOnLine.org.

Print Friendly, PDF & Email
Questa voce è stata pubblicata in Africa e Medio Oriente e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.