Siria: intervista a un cristiano della città “martire” di Aleppo

Nella città assediata, la gente assiste attonita ai ribelli che tentano di entrare nei quartieri cristiani mentre l’esercito risponde con tutti i mezzi, compresa l’aviazione

di Patrizio Ricci

Ad Aleppo è in atto una battaglia decisiva nella zona del convento gesuita di San Vartan, che costituisce la linea di demarcazione che separa i quartieri ribelli da quelli ancora in mano al governo. Gli jadisti cercano di sfondare e l’esercito siriano tenta il tutto per tutto, consapevole che se l’ultimo baluardo cade i ribelli dilagheranno nel quartiere cristiano di Sulaymanieh e poi in tutta Aleppo. Abbiamo raggiunto telefonicamente ad Aleppo un cristiano siriano, che per sicurezza chiameremo solo ‘Claude’:

D – Sig. Claude, chi assedia Aleppo e perché?
R – Le milizie armate che assediano Aleppo sono divise in gruppi spesso in conflitto tra loro; uno è L’ESL, ‘Esercito Siriano Libero’, la formazione costituitasi all’inizio dell’insurrezione e sostenuta finanziariamente dal Qatar: è stata appena attaccata e cacciata fuori dalla città dai combattenti del Da’ech (la sigla significa ‘Stato islamico d’oriente e di Siria’) che fa riferimento ed è finanziato dalla diramazione di al-Qaeda dell’Iraq. La maggior parte di questa milizia è composta da ceceni e da pochissimi siriani. Poi c’è il gruppo qaedista di al-Nusra (finanziato da Kuwait, Arabia e miliardari sauditi). E infine ci sono decine di gruppi di banditi siriani con diversi nomi, generalmente d’ispirazione islamica: Fronte del Nord, Piccoli figli del Profeta, i Liberali di Cham… fermano le auto e derubano e rapiscono per avere il riscatto (più di $ 1.000). Sono questi gruppi che hanno smantellato più di 1.100 impianti industriali ad Aleppo (con la collaborazione di Ankara) per portarli in Turchia. Si sono impadroniti dell’unico passaggio (Maabar) che consentiva l’arrivo delle derrate e l’hanno tagliato, e Aleppo, il polmone, la capitale industriale della Siria, sta per morire di fame. Da una settimana il Da’ech ha occupato questo passaggio e vieta l’ingresso di cibo. Aleppo, città cosmopolita di 5 milioni di abitanti che costituisce insieme a Damasco una tra le più antiche città del mondo, è allo stremo. Se Aleppo cade, sarà come Bengasi per la Libia: tutta la Siria crollerà.

D – Come si comportano i belligeranti nei confronti della popolazione civile?
R – Ovviamente nelle guerre sono sempre i civili a pagare il prezzo più alto. I ribelli lanciano razzi (Haone in arabo) e la risposta dell’esercito siriano provoca morti e feriti tra i civili innocenti. Due terzi di Aleppo sono controllati dai ribelli; restano fuori dalle zone occupate solo i quartieri cristiani, quelli curdi e quelli più prestigiosi dei sunniti. L’esercito siriano ha incontrato l’ostacolo della popolazione più povera della città che sostiene i ribelli. Lo scambio di colpi ha distrutto la maggior parte delle case dei quartieri controllati dagli antigovernativi e gli abitanti vivono in estrema indigenza. Tuttavia nel tempo i ribelli hanno perduto l’appoggio di cui godevano nelle zone occupate inizialmente: le famiglie maltrattate e sottoposte alla sharia wahhabita dell’Arabia Saudita alla fine hanno finito per rammaricarsi delle loro scelte a favore della rivolta e ora chiedono ai militari di essere liberate.

D – La situazione è la stessa in tutti i quartieri della città? Come vive la gente e quali sono i principali problemi?
R – Nelle aree controllate dall’esercito siriano il problema più grande è la generale mancanza di cibo, carburante ed energia elettrica; a questi problemi c’è da aggiungere la chiusura delle fabbriche e la grande disoccupazione. La mancanza di lavoro ha colpito soprattutto i giovani ed ha reso povera la classe media, facendo aumentare i mendicanti per le strade. Basti sapere che qualche giorno fa una madre che ha perso il marito ha ucciso suo figlio per salvarlo dalla morte per fame. Così il popolo siriano, che un tempo aveva accolto mezzo milione di profughi palestinesi, un milione di rifugiati libanesi e 1,7 milioni di profughi iracheni, è diventato lui stesso ‘profugo’. I ricchi si sono rifugiati in Europa, in Libano o in Giordania mentre migliaia di giovani e famiglie hanno intrapreso la rischiosa via dell’emigrazione in Turchia. Per farlo hanno pagato cifre di 8000 euro a persona. Coloro che si sono inconsapevolmente affidati a gente senza scrupoli a volte sono stati gettati in mare tra la Turchia e la Grecia, mentre altri che hanno pagato un falso visto per la Svezia e per la Germania sono stati arrestati dalla polizia turca. Nelle zone controllate dai ribelli, i civili hanno cibo ma non possono più vendere i loro prodotti e i funzionari non ricevono il loro salario. In quei quartieri la gente soffre a causa dei tribunali islamici che applicano la sharia, la rigida legge islamica.

D – Ma dieci giorni fa si è detto che la strada da Aleppo a Hama, la via da cui passa la maggior parte della merce direttamente verso la città (nel deserto), è stata liberata e che le consegne della merce sono di nuovo possibili: è vero?
R – Verissimo: i rifornimenti sono stati ripristinati, dalla consegna del carburante (benzina e olio per i forni) fino ai medicinali e al cibo. Ma soprattutto la sicurezza stradale ha permesso a migliaia di profughi di Aleppo in Libano, Turchia e Giordania di tornare e a coloro che volevano lasciare la Siria, soprattutto cristiani, di farlo. Tuttavia i prezzi sono esorbitanti; per esempio prima degli eventi 1 litro di olio costava 1 euro, oggi 1 litro costa 2,5 euro, la carne che costava 1 euro al chilo è passata a 12 euro, una bomboletta di gas da 1,5 euro costa oggi 52 euro…

D – La Croce Rossa o altre organizzazioni possono avere accesso ad Aleppo?
R – La Croce Rossa sta lavorando con la Mezzaluna Rossa siriana, ma la miseria è così grande che le attività delle organizzazioni restano una goccia nel mare della povertà e dell’indigenza. Qui devo sottolineare il grande impegno delle quattro organizzazioni cristiane che si stanno organizzando per offrire cesti di cibo una volta al mese per ogni povero, senza distinzione di confessione o religione: i Fratelli Maristi aiutano 318 cristiani e 80 famiglie musulmane che hanno perso la loro casa a Saydeh Jabal (Monte S. vergine); i gesuiti aiutano 1240 famiglie a maggioranza musulmana; la Parrocchia S. Dimitri aiuta 1034 famiglie; c’è inoltre la Caritas siriana, senza dimenticare i vescovi (greco-cattolici e ortodossi, armeni, siriaci e evangelici…). Tali azioni hanno lasciato una buona impressione anche tra i musulmani. Si possono aggiungere alla lista anche i comitati di Al-Ihssan islamici e il Ministero degli Affari sociali.

D – L’ex vescovo di Aleppo mons. Nazaro ha detto spesso che le informazioni sulla Siria, che hanno descritto la crisi siriana come una “primavera”, sono false. Qui in Italia si sottolinea che la situazione attuale è il risultato della repressione delle manifestazioni iniziali da parte di Assad, colpevole di aver trasformato le manifestazioni pacifiche in guerra aperta. E’ così? Come stanno veramente le cose?
R – Devo ammettere che il regime siriano non era un modello di democrazia, perché la corruzione era un po’ ovunque, le elezioni non erano libere, non c’era libertà di opinione e di espressione; inoltre gli aderenti al partito hanno avuto privilegi e i servizi di sicurezza erano ovunque presenti. Ma siamo in grado di sostituirla con la distruzione del paese e dell’uomo? Oggi più di un terzo dei siriani ha perso tutto e ci sono stati più di 150.000 morti.
Voglio rilevare l’ipocrisia dell’Occidente, come in Iraq, che con il pretesto della “democrazia e della libertà” in realtà sta distruggendo la convivenza islamico-cristiana. Il paradosso è che a farsi paladini della democrazia e libertà del popolo siriano sono paesi come Arabia, Qatar e Turchia: i primi due non hanno mai avuto nessuna Costituzione e non hanno mai riconosciuto al loro popolo i più elementari diritti umani; in Turchia dietro le apparenze liberali il vero volto che si nasconde è quello dei Fratelli musulmani.
Imponendo sanzioni contro la Siria, gli “Amici della Siria” uccidono il popolo siriano negando farmaci, latte, il fabbisogno essenziale per la vita. I ribelli sono pagati dai paesi del Golfo con ingenti somme mentre la gente muore di fame. Le fazioni armate sono in contrasto tra di loro e si uccidono per la supremazia nel territorio. Il progetto è costruire uno stato wahhabita: gli alawiti, i cristiani, i drusi e i sunniti moderati non hanno nessun diritto di cittadinanza. L’Occidente cristiano, permettendo la rimozione dell’Islam moderato, un giorno dovrà affrontare i fondamentalisti e pagare un caro prezzo.

D – Qual è la situazione dei cristiani in Siria e quale futuro è possibile?
R – Per noi in Oriente i legami familiari sono di primaria importanza e la solidarietà familiare è fondamentale. Questo aiuterà ad affrontare la sofferenza fisica e mentale provocata dalla guerra. In questa guerra abbiamo potuto riconoscere brave persone (sacerdoti e laici) che si sono rifiutate di lasciare il paese e si sono dedicate ad aiutare i rifugiati e si sono adoperate a confortare i parenti dei martiri e soprattutto la classe media che ha improvvisamente perso i suoi piccoli laboratori o fabbriche rubate e distrutte dai criminali.
Spesso ci dimentichiamo che se la Palestina era il luogo di nascita di Cristo, la Siria è stata la culla del primo cristianesimo con san Paolo sulla via di Damasco, la culla della vita monastica con San Simeone Stilita, Sant’Ignazio, San Efrem, San Romano il Melode… Possiamo forse dimenticare che la stessa Maaloula (dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù) è stata recentemente saccheggiata dai ribelli? I cristiani in Siria avevano i diritti di cittadinanza come tutti, per questo potevano occupare anche alte cariche nello stato: cristiano era l’ex capo dell’esercito siriano, lo è il Governatore della Banca di Siria, il segretario particolare del Gran Mufti di Siria, quattro ministri e diversi funzionari del governo. La libertà religiosa era assicurata: i cristiani avevano il diritto di costruire chiese senza problemi e come le moschee non pagavano le tasse o l’elettricità (non come in Egitto o in Turchia).
Questa sporca guerra ha portato più di un terzo dei cristiani a lasciare il paese ed essi rischiano di avere la stessa sorte dei cristiani in Palestina (diventare profughi a vita, n.d.r.). Siamo molto preoccupati per il futuro dei nostri figli . Abbiamo davvero bisogno di un miracolo o di un intervento divino. Sarà grave se noi cristiani, discendenti diretti degli apostoli e dei Padri della Chiesa d’Oriente, scompariremo: con noi spariranno le radici della Chiesa e della civiltà occidentale. Eppure Dio ci ha messo su questa terra per testimoniare il suo amore e la luce anche per i musulmani.

D – In che modo si può porre fine a questa guerra?
R – L’unico modo per porre fine a questa guerra è favorire il dialogo tra tutti i siriani, fermare i finanziamenti e le armi ai ribelli, continuare a ripulire il sistema di corruzione, dare più libertà ai cittadini e rimuovere le sanzioni contro il popolo siriano.

Fonte: Siria: intervista a un cristiano della città “martire” di Aleppo.

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