Siria: Kobane come Srebrenica | Coordinamento Nazionale per la pace in Siria

(Fonte: Piccolenote) Kobane è una piccola città siriana al confine turco. Insignificante per il mondo fino a qualche giorno fa, è diventata il simbolo della resistenza all’Isis. Da settimane i miliziani dell’Isis la incalzano, assediandola da tre lati. Dentro la città i curdi: la loro strenua resistenza è cantata dai giornali italiani e mondiali. Un inno a un popolo che non vuole piegarsi al califfo del terrore. E però, mentre tutto il mondo apparentemente è in angoscia per la sorte della città, nessuno fa nulla. Come accadde a Srebrenica, Bosnia, durante il tragico conflitto seguito al dissolvimento della Jugoslavia. La Turchia sta facendo un gioco sporco. Kobane è proprio addossata al confine e Ankara potrebbe facilmente prestare aiuto, ma non lo fa.

Cosa sta succedendo? Andiamo per ordine: alcuni giorni fa il Parlamento turco vota per dare al governo pieno mandato in caso di intervento armato contro l’Isis anche in territorio siriano. Di fatto una dichiarazione di guerra a Damasco, ma ciò appartiene al pregresso e alle mire che Erdogan nutre, non da oggi, in quella direzione. A votare contro sono i curdi, che hanno loro rappresentanti nel Parlamento turco. Già perché se la Turchia entra in Siria, i primi a farne le spese sarebbero i curdi siriani, la cui presenza nelle zone di confine, a Kobane come altrove, è fortissima. Ed è questo uno dei nodi della vicenda, quello dell’eterno conflitto tra curdi e turchi: Ankara, pur avendo avviato un processo di pace con il partito comunista curdo (il Pkk, per anni il più rappresentativo della minoranza curda turcofona), non cessa di considerarlo una minaccia terroristica. E i curdi, a loro volta, non si fidano dell’interlocutore. A complicare le cose l’ipotesi, a lungo sostenuta da Israele e di recente accreditata da molte cancellerie occidentali, che le minoranze curde irachene e siriane diano vita a uno Stato curdo indipendente. Un progetto che allarma non poco Ankara dal momento che potrebbe fomentare speranze e nuove aspirazioni politiche all’interno della minoranza curda in Turchia.
Da qui la riluttanza di Erdogan ad aiutare i curdi: sono terroristi come l’Isis, ha dichiarato in questi giorni il Presidente turco. Se nei timori di Erdogan ci fosse anche una qualche ragionevolezza, e non c’è, resta che di fatto si sta rendendo connivente con un massacro; un po’ quel che avvenne a Varsavia, quando i nazisti sterminarono gli ebrei del ghetto che si erano ribellati nell’inanità delle armate russe praticamente alle porte. Erdogan non solo non fa nulla per impedire la presa della città, ma ha chiuso le frontiere ai volontari curdi che vorrebbero portare soccorso ai loro fratelli. Chiusura ermetica. Non accadeva lo stesso quando a passare quei confini erano miliziani di Al Qaeda – oggi arruolati nell’Isis – che andavano a combattere contro Assad… Da qui la rivolta dei curdi in Turchia, contro la quale Erdogan sta usando la mano pesante, anzi pesantissima, nel silenzio della comunità internazionale. Ma non è solo la Turchia a giocare con l’ambiguità. Le Nazioni Unite non hanno detto praticamente nulla, ma sul punto è meglio stendere un velo pietoso: ormai l’inanità di questa istituzione sotto la reggenza di Ban Ki-mon è manifesta. Resta da capire l’assenza della coalizione internazionale anti-Isis.

La macchina da guerra messa assieme da Obama si è limitata a compiere qualche bombardamento attorno a Kobane, più che altro raid di alleggerimento. Ieri ha avuto luogo un attacco un po’ più consistente e per la prima volta ha prodotto un qualche risultato: l’Isis ha arretrato, dando un po’ di respiro alla città. E però, nello stesso giorno, il Capo del Dipartimento di Stato Usa John Kerry si è premunito di dire che la liberazione di Kobane non è interesse prioritario degli Stati Uniti. Quasi un’excusatio non petita per aver fatto, per la prima volta, quel che dovevano fare da tempo. Sempre Kerry, tra l’altro, ha ribadito quel che viene ripetuto come un mantra, ovvero che la forza aerea non basterà a fermare l’Isis. Sul punto, però, esprimiamo seri dubbi: se è vero che non si può controllare un territorio solo con l’aviazione, è difficile credere che dei bombardamenti aerei non possano contrastare con efficacia un attacco in campo aperto contro una città. Qualcosa, anzi tanto, non quadra in questa spiegazione.

Da tempo si sta alimentando nel mondo la paura dell’Isis, nuovo mostro di fabbricazione occulta. Nell’occulto, i neocon hanno usato di questa minaccia per rilanciare ancora una volta l’interventismo occidentale nel mondo arabo, motivato da interessi inconfessabili. Un interventismo del quale, in questa occasione, sono partecipi anche le monarchie sunnite del Golfo, finora occulte sostenitrici dell’Isis e delle varie formazioni jhadiste siriane di marca Al Qaeda. Insomma, tanto occultismo in questa intricata vicenda. La caduta di Kobane, e il successivo massacro, sarà occasione per rilanciare l’allarme del mostro Isis sul piano internazionale. Accadde anche al tempo di Srebrenica: il massacro dei bosniaci contribuì non poco a giustificare l’intervento Nato nel teatro di guerra balcanico. Così Kobane sta diventando un simbolo. Della resistenza all’orrore dell’Isis, vero, ma anche di altro, qualcosa di oscuro e indefinibile che ricorda da presso Srebrenica.

Ps. Tutti i giornali scrivono che la resistenza di Kobane è opera dei peshmerga. Non è vero: i peshmerga, quelli osannati da tutto il mondo, si trovano nel kurdistan iracheno e, pur se di comune etnia, hanno storia e rapporti internazionali molto diversi. Tanto che a loro sono arrivati armamenti e munizioni.

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