Suicidio D’Amico, avvocato contro clinica svizzera | Tempi.it

luglio 12, 2013 – Chiara Rizzo

Magistrato suicida in Svizzera per un male inesistente. Intervista a Roccisano, legale della moglie: «C’erano evidenze che smentivano i medici. In quella clinica altro che angeli della morte, hanno dato ai giornali le foto di D’Amico morente»

È giunta a una svolta la vicenda drammatica di Pietro D’Amico, l’ex sostituto procuratore generale di Catanzaro che lo scorso aprile si era recato in una clinica privata di Basilea per sottoporsi al suicidio assistito: «D’Amico non era affetto da quella grave patologia che lo aveva convinto a chiedere il suicidio assistito. Un errore scientifico che lo ha portato a conseguenze fatali», spiega a tempi.it Michele Roccisano, avvocato della moglie di D’Amico, Tina Russo D’Amico, e intimo conoscente del magistrato.

Avvocato Roccisano, come avete accertato l’errore sulla malattia diagnosticata a D’Amico?
Insieme al legale della figlia di D’Amico, avevamo chiesto che venisse svolta un’autopsia in Svizzera, per controllare se la grave patologia diagnosticata al magistrato da alcuni medici del Nord Italia fosse realmente presente. Avevamo ragione di credere che questa patologia non esistesse, perché nei referti si descrivevano sintomi che noi non avevamo riscontrato in D’Amico. Per esempio, nei referti, si parlava di un soggetto non in grado di concentrarsi e con problemi di memoria, quando invece noi sapevamo di trovarci di fronte a un fine studioso di filosofia del diritto, e questo anche pochi giorni prima della sua morte. Parlo con cognizione di causa, perché D’Amico aveva scritto diversi libri, fra i quali uno con me, e lo conoscevo molto bene perché eravamo amici di infanzia e avevamo studiato insieme fin dagli anni del liceo. L’ultimo saggio lo ha licenziato due giorni prima di partire per andare a morire in Svizzera. Inoltre ci risulta che altri specialisti, pure consultati da D’Amico nello stesso periodo, hanno escluso che avesse quella malattia o si sono rifiutati di diagnosticarla, perché mancavano esami strumentali essenziali per un responso sicuro e corretto. E proprio ieri abbiamo ricevuto i risultati ufficiali dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Basilea, che su incarico del magistrato svizzero ha eseguito l’autopsia sul corpo e l’esame istologico dei tessuti prelevati. Ebbene, è stato escluso nettamente che il dottor D’Amico sia mai stato affetto da questa grave malattia.

Ma questi certificati non erano stati controllati dai medici della clinica svizzera che hanno eseguito il suicidio assistito?
D’Amico ha chiesto il suicidio assistito presentando questi referti errati, e l’associazione Eternal Spirit Lifecircle, nella persona di Erika Preisig, li ha accettati acriticamente. Adesso i giudici svizzeri e italiani dovranno stabilire se queste condotte comportano un reato. Andrà anche accertato se gli specialisti italiani siano responsabili di un errore medico e se l’errore sia dovuto a negligenza, imperizia, imprudenza. Fin dal giorno in cui annunciarono la tragedia, con un’agghiacciante telefonata alla signora D’Amico, i medici svizzeri, e soprattutto la Preisig che ha materialmente assistito D’Amico nella morte, hanno inviato alla famiglia una serie di carte e tra queste in bell’evidenza i referti medici di cui parliamo, come a volerci dire in sostanza di aver agito in base a documenti. Così è stato, ma questo non assolve del tutto i medici svizzeri, che avrebbero avuto invece l’obbligo di non accettare acriticamente questi certificati.

Pietro D’Amico è stato lambito in passato in un’inchiesta condotta dall’allora pm Luigi De Magistris sui colleghi di Catanzaro. Quanto ha inciso questo evento nella sua drammatica scelta e sulla sua depressione?
Non ci sono dubbi che l’inchiesta di De Magistris abbia aggravato la depressione. Però non è corretto indicarla come causa della depressione di cui ha sofferto D’Amico, né è corretto pensare che il suicidio sia stato conseguenza diretta di quell’inchiesta. Ero il suo avvocato per quel caso. D’Amico nel 2007 è stato letteralmente solo sfiorato dal sospetto di aver favorito una fuga di notizie. Il sospetto si è rivelato del tutto infondato e falso, tanto che la posizione di D’Amico fu archiviata nel 2009 ancora in fase di indagini preliminari. Lui per l’amarezza ha però abbandonato la magistratura, andando in pensione anticipatamente. Poiché l’inchiesta si è conclusa nel 2009, ci tengo a ribadire, con certezza, che D’Amico aveva già metabolizzato questo evento, e non c’è nessun nesso diretto con il suicidio avvenuto cinque anni dopo, l’11 aprile 2013. D’Amico stesso, nelle carte che ci ha lasciato, non ha mai collegato la volontà di morire con questi fatti, ma sempre e solo con la patologia di cui era convinto di soffrire. Vorrei aggiungere invece un elemento su cui secondo me bisogna riflettere.

Quale?
Erica Preising ha fatto una cosa indegna: in un’intervista all’Espresso si è dipinta come angelo misericordioso della morte, ma ho ragione di credere che tanto angelo non sia. La Preising ha dato all’Espresso le foto del corpo di D’Amico, un’azione vergognosa, che vìola ogni regola elementare di riservatezza, di etica e di deontologia. Dare in pasto alla stampa le foto del corpo di un uomo che sta morendo, e proprio mentre si è accanto a lui ad assisterlo, è qualcosa per la quale non riesco a trovare una giustificazione.

Fonte: Suicidio D’Amico, avvocato contro clinica svizzera | Tempi.it.

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