Sunniti e sciiti esportano la loro guerra in Nigeria|La Nuova Bussola Quotidiana

di Giorgio Bernardelli 03-02-2015

«Boko Haram in Nigeria e gli al-Shabaab nel Corno d’Africa sono simili ad al Qaeda e all’Isis in alcune zone del Medio Oriente: usano gli stessi metodi operativi per seminare il caos tra la popolazione delle due regioni. Per questo l’Iran vuole mettere a disposizione la sua esperienza nella lotta al terrorismo per combattere questi gruppi in Asia».

L’Europa si volta dall’altra parte davanti ai massacri sempre più terribili di Boko Haram? C’è qualcun altro pronto a «dare una mano» nella «lotta al terrorismo» in Africa. Sì, avete letto bene, proprio l’Iran degli ayatollah. Quella riportata sopra – infatti – è niente meno che una dichiarazione ufficiale del vice ministro degli esteri di Teheran, Amir Hossein Abdollohian. Pronunciata sabato ad Addis Abeba, davanti ai capi di Stato e di governo africani riuniti per la ventiquattresima assemblea dell’Unione Africana. La stessa che in queste ore – con la benedizione del segretario generale dell’Onu Ban ki-moon – ha annunciato la costituzione di una forza multi-nazionale da 7500 militari provenienti da Benin, Ciad, Camerun e Niger per affiancare l’esercito della Nigeria nella lotta contro Boko Haram.

In questa partita si dice disposto a entrare anche l’Iran. E forse sarebbe meglio non considerarla come una semplice boutade. Perché l’uscita di Teheran dice quanto dappertutto (tranne che in Occidente) ciò che sta accadendo in Africa sia ormai percepito come un fronte dell’unica grande battaglia per la supremazia all’interno del mondo islamico. E proprio il caso specifico della Nigeria è particolarmente interessante da questo punto di vista.

È vero, storicamente l’islam sciita avrebbe ben poco a che fare con l’Africa sub-sahariana. Se non fosse che negli ultimi trent’anni anche Teheran (prima ancora dei salafiti) ha cullato il sogno di esportare tra i musulmani africani la propria rivoluzione. E nel nord-est della Nigeria – la stessa area dove Boko Haram ha la sua roccaforte – ha trovato una sponda piccola ma significativa: lo sheikh Ibrahim Zakzaky, un ex leader della gioventù islamista, rimasto folgorato negli anni Ottanta dal vento che arrivava dall’Iran. Al punto da dare vita – praticamente ex novo – a una corrente islamica che si definisce sciita e che soprattutto negli Stati di Kano, Yobe e Sokoto conta qualche milione di seguaci (in un Paese di 170 milioni di abitanti). Anche se va aggiunto che in realtà il suo sciismo è più politico che dottrinale: le sue scuole, per esempio, si chiamano Fudyyah in onore di Usman dan Fodio – fautore nel XVIII Secolo del jihad tra le etnie dei Fula – che era ovviamente un sunnita.

L’Iran in questi anni ha foraggiato abbondantemente il movimento di Zakzaky, noto con il nome di Islamic Movement in Nigeria. Dal punto di vista di Teheran si trattava comunque di una testa di ponte interessante in un gigante africano come la Nigeria; e i servizi segreti israeliani avevano più volte messo in guardia su trasferimenti di armi, denunciando il rischio di un movimento gemello di Hezbollah pronto a colpire interessi americani e israeliani nella regione. Solo che alla fine la frattura tra sunniti e sciiti ha cominciato a farsi sentire anche nel nord-est della Nigeria e – nell’alveo del radicalismo islamico – le strade dei salafiti e dei filo-iraniani hanno cominciato a divaricarsi.

Il resto l’ha fatto l’ascesa di Boko Haram che – come tutti i movimenti salafiti radicali – considera gli sciiti come i propri peggiori nemici. Così il 3 novembre scorso – proprio nel giorno dell’Ashura, il giorno durante il quale gli sciiti commemorano il martirio dell’imam Ali – ha mandato un attentatore suicida a farsi esplodere durante una processione sciita a Potiskum, una delle città più importanti dello Stato di Yobe. Sono state più di trenta le vittime della strage.

Radicali sunniti contro gli sciiti anche in Nigeria. E con l’Iran ora pronto ad allearsi persino con i governi africani, pur di fermare l’avanzata dei salafiti in una regione strategicamente ed economicamente così importante per tutta l’Africa. Il tutto alla viglia delle delicatissime elezioni presidenziali, il cui primo turno è in programma ad Abuja tra meno di due settimane.

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