«Tempi» sperimenta la nuova tirannide | La Nuova Bussola Quotidiana

di Robi Ronza 16-01-2015

Le scritte sul muro della sede di Tempi

«Il sonno della ragione genera imbecilli», si potrebbe ben dire – parafrasando la celebre sentenza di Francisco Goya – a commento delle scritte insultanti con cui l’altra notte sono stati imbrattati i muri dell’edificio ove ha sede a Milano il settimanale Tempi. Sulla soglia dei suoi uffici sono state poi anche lasciate delle feci (non si sa se opera di terzi oppure se, più scimmiescamente, diretto frutto degli autori della teppistica incursione). A quanto sembra chi ha preso tale iniziativa intendeva protestare da par suo contro la scelta di Tempi e del suo direttore di dare attivo sostegno al convegno “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, che avrà luogo oggi a Milano presso Palazzo Lombardia sotto l’ égida  della Regione.

Il… combinato disposto, per così dire, delle scritte e del resto era inteso ad accusare perciò Tempi e il suo direttore di esecrabili “sessismo” e “omofobia”. Che cosa c’entra una simile accusa con il tema del convegno? Non c’entra per nulla, ma evidentemente poco importa. Siamo ormai nel pieno dell’epoca in cui, come diceva quel tale, le opinioni sostituiscono i fatti. E per un certo ambiente, tanto più se si tratta di opinioni accreditate da la Repubblica, tale sostituzione è un dogma. Da quando infatti lo scorso 3 gennaio la Repubblica ha scritto bollando il  convegno come un’adunata di “omofobi”, i quali pretendono che l’omosessualità sia una malattia da curare a viva forza, non c’è stato più verso.

È chiaro che una bravata di bassa lega come quella di cui dicevamo è qualcosa di ben lontano dai raffinati salotti romani ove si rimescola il brodo di coltura del pensiero de la Repubblica. Non si riescono ad immaginare Ezio Mauro e i suoi impegnati in operazioni come quelle di cui furono teatro l’altra notte a Milano gli zerbini della redazione di Tempi. Quando però il sasso che si lancia cade in certi ambienti certe conseguenze sono inevitabili.

Senza tornare su cose già dette ( cfr. “La tirannide dell’omofobia, il peggio del ’68”, La Nuova Bussola Quotidiana, 13 gennaio 2015) conviene tuttavia tornare a ribadire la  carica liberticida della pretesa secondo cui nessuno ha diritto di affermare pro veritate qualcosa che qualcun altro non condivide. Da tale pretesa deriva l’idea mortifera del pensiero unico come conditio sine qua non della pace sociale. Una pretesa che ora sta prendendo il posto di un’altra idea altrettanto mortifera dimostratasi nel frattempo storicamente impraticabile: quella secondo cui base necessaria di tale pace sarebbe lo scetticismo come cultura comune di massa.

In realtà l’autentica conditio sine qua non della pace sociale è la comune consapevolezza della condizione umana, delle sue sfide e dei suoi problemi. La pace sociale si costruisce nel confronto tra le diverse risposte che ciascuno di noi dà pro veritate ai grandi temi della comune condizione umana. Non pensando ognuno sempre e soltanto ai fatti propri poiché ciò non è possibile. Nemmeno però tenendo per buono soltanto ciò che di volta in volta impone il potere, oggi ben più mediatico che politico.

via«Tempi» sperimenta la nuova tirannide.

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