Terra Santa: i cristiani perseguitati sono pietre vive

Come vasi di coccio come vasi di ferro. Questa è la vita dei discendenti dei discepoli che rischiano la pelle. Ma non abbandonano i luoghi dove ha avuto inizio la nostra storia. Il libro “Aggrappati alle radici. Storie e volti dei cristiani in Terra Santa”.

Pubblichiamo l’articolo uscito sul numero 32-33/2012 di Tempi.

Poco meno di 200 mila, circa il 2 per cento dell’intera popolazione che vive tra Israele e la Cisgiordania. Sono i dati dei cristiani presenti in Terra Santa. Numeri che fanno riflettere, il risultato di un conflitto drammatico che ancora non trova via d’uscita. Ma non è a questo esodo – cominciato dalla metà del XIX secolo e aumentato vertiginosamente a partire dal 1948 – che è dedicato il libro Aggrappati alle radici. Storie e volti dei cristiani in Terra Santa. Andrea Avveduto e Giovanni Zennaro – rispettivamente giornalista e fotografo – raccontano la vita quotidiana di quel 2 per cento di popolazione che nonostante le difficoltà in cui si trova decide tutti i santi giorni di non abbandonare la propria casa per darsi alla fuga.

Dal fiume giordano al mare Mediterraneo: il lembo di terra compreso tra questi confini naturali è conosciuto come Terra Santa. Un luogo ricco di storia, di bellezza e di sofferenza. Sorgente della fede di miliardi di persone: terra promessa per gli ebrei, luogo della nascita e della vita di Cristo, paese dove Maometto è asceso al cielo. Qui gli arabi cristiani sono una minoranza nella minoranza, schiacciati da una maggioranza composta da ebrei israeliani e da musulmani. Ma «ci teniamo a dirlo che siamo cristiani arabi, cioè discendenti delle prime comunità cristiane di questi luoghi». La Custodia di Terra Santa, oggi presieduta da Pierbattista Pizzaballa – che a questo libro dedica un’intensa prefazione –, ha due compiti. Il primo è quello di vigilare sui santuari di questa terra (le pietre della memoria); il secondo è di mantenere il rapporto con le comunità cristiane (le pietre vive). Gli autori non si soffermano sulle ragioni delle discriminazioni quotidiane che queste persone vivono; raccontano semplicemente quello che hanno visto con i loro occhi.

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