Terrorismo islamista in Africa, di Mali in peggio

di Anna Bono

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha appena aggiunto un nuovo nome alla lista nera dei gruppi terroristici: si tratta del Mujao, Movimento per l’unicità e il Jihad in Africa Occidentale, formato nel 2011 da estremisti islamici del Mali e di altri paesi. Il Consiglio di sicurezza ha motivato la propria decisione spiegando che i terroristi Mujao operano in diversi stati del Sahel, in collaborazione con altri gruppi, dediti ad attività quali i rapimenti di stranieri a scopo di ricatto – sono 13 attualmente gli ostaggi nelle loro mani, inclusi sette diplomatici algerini –  e il traffico intercontinentale di droga, prodotta in Sudamerica e destinata ai mercati europei.

Il Mujao è uno dei tre gruppi islamisti che da mesi controllano il nord del Mali, insediati nelle tre città principali: Gao, Timbuctu e Kidal. Gli altri due sono Al Qaeda nel Maghreb islamico, gruppo algerino nato come Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento e ora operativo in tutto il Sahel, e Ansar al Din, composto in prevalenza da tuareg così come l’Mnla, Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad, la milizia armata che a gennaio per prima ha sfidato il governo di Bamako proclamando la secessione dei territori settentrionali le cui popolazioni patiscono da decenni la supremazia politica delle etnie del sud.

A differenza dell’Mnla, gli islamisti non vogliono però l’indipendenza del nord, bensì l’adozione in tutto il paese della shari’a, la legge coranica. Grazie anche all’aiuto di terroristi membri di altri gruppi islamisti – dal nigeriano Boko Haram al somalo al Shaabab – in poco tempo le tre formazioni hanno avuto quasi dappertutto la meglio sull’Mnla né hanno dovuto temere la reazione dell’esercito maliano perché nel frattempo, a marzo, un colpo di stato militare aveva rovesciato il governo. La giunta militare che ha preso il potere ha infatti sospeso le operazioni militari al nord, peraltro fino ad allora del tutto infruttuose, concentrandosi sul controllo delle istituzioni politiche, cedute in seguito su pressione internazionale a un governo e a un capo di stato civili a cui è stata affidata la transizione.

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