Tra i profughi in fuga dalle stragi di Boko Haram | La Nuova Bussola Quotidiana

di Giorgio Bernardelli 27-12-2014

Ci sono cristiani perseguitati che non si guadagnano nemmeno un titolo su un giornale: sono troppe oggi le crisi, non si riesce a stare dietro a tutte le stazioni di questa Via Crucis. Così in pochissimi sanno che anche l’Estremo Nord del Camerun, la striscia di terra che si insinua tra la Nigeria e il Ciad, quest’anno ha vissuto un Natale di tensione con migliaia di profughi. Sono le popolazioni fuggite dalla Nigeria dei Boko Haram, il movimento fondamentalista islamico che con gli attentati alle chiese e le altre scorribande semina il terrore ormai anche nei Paesi vicini.

Proprio in questa zona svolgevano il loro ministero don Giampaolo Marta e don Gianantonio Allegri, i due missionari fidei donum vicentini rapiti e poi rilasciati nella primavera scorsa insieme a suor Gilberte Bussier, una religiosa canadese. Dopo quella vicenda molti altri missionari sono stati costretti ad abbandonare l’area. Tra i pochi che invece restano c’è un missionario brianzolo del Pime, fratel Fabio Mussi; lui resta perché attraverso la Caritas della diocesi di Yagoua ha il compito di prendersi cura proprio dei profughi in arrivo dalla Nigeria. Sono ben dodicimila quelli cui la Chiesa locale offre assistenza alimentare – grazie anche a un progetto d’emergenza lanciato dal Pime (www.pimemilano.com). Ed è sempre la diocesi che – per i più piccoli – cerca di combattere la battaglia più dura: quella sulla scuola. Perché Boko Haram (che letteralmente significa «il libro è peccato») ha messo innanzi tutto la scuola nel mirino: solo quelle coraniche sono ammesse nella sua ideologia fanatica. Per cui restare a Yagoua oggi significa anche darsi da fare per cercare di mantenere aperte le scuole. Una sfida tutt’altro che facile.

«Tutte le scuole di Fotokol, Bodo, Bargaram e Hile Alifa – che fanno parte della zona di confine più soggette agli attacchi e bombardamenti di Boko Haram – sono state chiuse per ordine delle autorità civili e militari»,  racconta nella sua ultima lettera il missionario del Pime. «Anche se l’esercito camerunese sta cercando di tenere la situazione sotto controllo, gli assalti e i bombardamenti continuano. Come potete capire, non ci sono ancora le condizioni per aprire la nostra scuola elementare a Fotokol. Ma il nostro impegno di aiutare le persone che fuggono dalle violenze è sempre attivo e si continua ad intervenire nonostante tutto».

Quale Natale, allora, in un contesto come questo? «Qualche giorno fa», scrive Fabio Mussi, «un amico musulmano mi raccontava quanto gli dispiacesse che la prossima festa di Natale non sarebbe stata così serena e sicura per i cristiani in Camerun, Nigeria e Centro Africa. È vero che questo Natale è forse il primo vissuto in un clima di paura e diffidenza nella regione dell’Estremo Nord del Camerun. Paura per i possibili attentati alle chiese, come purtroppo accade spesso in Nigeria, e diffidenza irrazionale verso i musulmani, per la sola ragione di essere della stessa fede degli estremisti di Boko Haram. Se per la terra camerunese la precarietà sociale è una novità, vi sono molte altre regioni del mondo in cui la situazione di guerra e d’insicurezza è ben più pesante».

Eppure gli occhi della fede aiutano a guardare più in profondità anche dentro questa tragedia. «A pensarci bene», continua nella sua lettera il missionario del Pime, «anche nel primo Natale di 2014 anni fa l’insicurezza è stata un elemento essenziale di quanto avvenuto. Anche se ora ce ne siamo dimenticati, e ricordiamo e festeggiamo solo la gioia per la nascita di Gesù. Maria e Giuseppe, si sono trovati in una cittadina lontana dal proprio ambiente, e senza casa né parenti stretti su cui appoggiarsi, proprio nel momento di maggior bisogno. Tuttavia il loro senso pratico e il loro amore per la creatura che stava per nascere, li ha spinti a non scoraggiarsi, ma a cercare altre alternative disponibili. Hanno trovato un riparo di fortuna, come fanno attualmente tanti altri profughi e sfollati».

«Quest’anno», conclude l’ultimo missionario italiano rimasto nell’Estremo Nord del Camerun, «anche noi cercheremo di vivere il Natale nella serenità e nella gioia di una salvezza che ci viene donata. Ma non potremo tralasciare l’esperienza dell’insicurezza e della violenza subita che accompagna oggi questo avvenimento. È quanto ci auguriamo di imparare dal Natale».

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