Un codice neutro contro gli stereotipi per liberarsi da «donnine» e «ometti» | Corrispondenza romana

Toy Gender(fonte Corriere.it) Matteo, 4 anni, sta disegnando in un angolo della stanza. Matite colorate, qualche pennarello e l’immagine che inizia a formarsi sul foglio bianco. Poi, all’improvviso, un urlo della compagna Lisa, sua coetanea, attraversa la stanza: «Maestra! Matteo usa la gomma delle femmine!». Poco dopo è il momento di scegliere uno strumento musicale: qualche bimba prova quelli più rumorosi – tamburi e batteria – salvo poi nascondersi il viso tra le mani per la vergogna. All’ora della merenda un’insegnante chiede a una femmina di aiutarla a distribuire la frutta: «Delle bimbe ci si può fidare di più», spiega. E a lei: «Sei proprio una donnina, brava!». Quando poi a fine giornata Luca non ha nemmeno una macchia sul grembiule, la madre, preoccupata, chiede alla maestra: «Sta bene? Mi sorprende che non si sia sporcato».

Emanuela Abbatecola e Luisa Stagi, ricercatrici della Scuola di Scienze Sociali dell’Università di Genova e animatici della rivista About Gender (aboutgender.unige.it), per due anni hanno studiato gli stereotipi di genere in due scuole d’infanzia del capoluogo ligure lavorando con gli insegnanti e con i bambini (una ricerca che si è svolta nell’ambito del progetto Step promosso dal Comune).

«Quel che è emerso è stato un quadro decisamente sessuato, dai colori ai vestiti, dal linguaggio ai giochi», racconta Abbatecola. Vere e proprie «gabbie comportamentali», che riflettono le «aspettative di adesione ai modelli di genere».

Tradotto: cosa la società si aspetta da un maschio e cosa da una femmina. E se le bimbe-maschiaccio a volte non vengono nemmeno notate, per i bimbi è tutto più difficile.

«Dall’aspetto al modo di camminare, di vestirsi, di giocare e di raccontarsi devono imparare a non fare le femminucce. Capire dove finisce la natura e dove inizia la cultura è impossibile visto che i «condizionamenti partono da subito. E anche se la sociologia non nega l’esistenza di un fattore naturale, la cultura ha un potere enorme. Basta pensare agli svenimenti femminili frequenti nel secolo scorso, scomparsi per un cambiamento culturale».

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