Unioni gay: “costo zero” un accidente | Tempi.it

maggio 17, 2015  Alfredo Mantovano

Se lo Stato sceglie di equiparare di fatto convivenze e nozze, l’Ue impone che il regime sia omogeneo. Anche per quanto riguarda la pensione di reversibilità

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Pubblichiamo l’articolo contenuto nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ci sono tante ragioni per non approvare il disegno di legge sulle unioni civili: su Tempi sono state esposte più volte. Ve ne è però una che non chiama in causa questioni di principio né solleva polemiche, al punto che finora è stata ignorata, ma rischia di avere conseguenze devastanti, oltre l’ambito, pur non ristretto, della materia. È stata sollevata da Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale all’Università europea di Roma, nell’audizione da lui tenuta sul ddl Cirinnà, tre mesi or sono davanti alla commissione Giustizia del Senato. E finora non ha trovato replica.

Riprendo in sintesi il ragionamento svolto nella circostanza (la relazione di Vari è consultabile su siallafamiglia.it). Il testo in discussione equipara per intero il regime delle unioni civili fra persone dello stesso sesso a quello del matrimonio: nella versione oggi in discussione vi è l’esplicita estensione al primo, fra gli altri, degli articoli del codice civile (143, 144 e 147) che sono letti agli sposi durante la celebrazione, religiosa o civile, delle nozze, vi è l’apertura alla possibilità di adottare figli, se pure nella forma della cosiddetta “stepchild adoption”, vi è perfino l’accesso del componente di una unione civile alla quota di legittima in caso di morte del partner. Manca soltanto una voce rispetto al matrimonio: la pensione di reversibilità.

Manca di conseguenza una previsione di copertura finanziaria; per i sostenitori del ddl non vi sono oneri aggiuntivi, è “a costo zero”. Vari ha dimostrato che non è così; a quella audizione ho preso parte anch’io: nessuno lo ha confutato. La Corte di giustizia europea ha sempre asserito che «la legislazione in materia di stato civile delle persone rientra nella competenza degli Stati membri»; dunque, ciascuno dei 28 Stati dell’Unione non è vincolato quanto alla scelta del regime da dare alle convivenze, purché garantisca ai conviventi diritti elementari, peraltro in Italia già ampiamente riconosciuti.

Se però la scelta del singolo ordinamento statale va verso la sostanziale equiparazione fra unioni civili e matrimonio – come fa il ddl Cirinnà –, l’Europa ci dice che il regime deve essere omogeneo: ogni esclusione diventa discriminazione. Ergo: se passa il testo così come è oggi all’esame del Senato senza la previsione della reversibilità, tale esclusione non ha bisogno di impugnazione alla Corte costituzionale o a una delle Corti europee; qualsiasi giudice è legittimato a disapplicarla, e quindi a riconoscere il trattamento pensionistico, evocando la discriminazione fondata sulle “tendenze sessuali” in materia di lavoro, vietata dal diritto europeo.

Una finanziaria a tradimento?
Qualche giorno fa sul bilancio pubblico, e quindi nelle tasche degli italiani, è piombata la sentenza della Consulta sul taglio delle pensioni, che rischia di costare quanto una legge di stabilità, e di esigere ulteriori sacrifici a larga parte dei contribuenti. È una pronuncia che poteva essere evitata a monte – anzi, dal governo Monti – con un adeguamento del trattamento pensionistico più equilibrato, e che certamente andava prevenuta a valle, se avessero funzionato i canali discreti (sconosciuti al governo in carica) della leale collaborazione fra le istituzioni dello Stato.

Allorché il Parlamento sta per votare il ddl Cirinnà, oltre – lo ripeto – alle importanti questioni di merito, tutti i soggetti con voce in capitolo, dalla commissione Bilancio del Senato al ministero dell’Economia, passando per la ragioneria generale dello Stato, sono chiamati a valutare con attenzione ciò che quel testo comporta in termini di incremento di spese. Per capire quanto costa agli italiani l’ansia ideologica di porre sullo stesso piano matrimonio e unione gay. Per capire chi pagherà l’ossequio alle lobby lgbt. Per non ritrovarsi sorpresi qualche settimana dopo l’approvazione, e affannati nel cercare i miliardi di euro di copertura. Quando di sorprendente qui c’è solo l’ottusità con cui si persevera nella demolizione della famiglia.

Foto Gay Pride da Shutterstock

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