Università tunisina in pericolo: un appello dall’ “Inverno arabo”Sottoscrivi! Appello urgente dall’Università della Manouba a Tunisi

di Valentina Colombo

UNIVERSITA’ TUNISINA IN PERICOLO: UN APPELLO DALL’INVERNO ARABO

Se esiste ancora qualcuno che crede nella cosiddetta “primavera” gli consiglierei di leggere quel che si scrive sui giornali, nei blog, nei social network di paesi come l’Egitto, gli consiglierei quello che viene scritto in arabo, gli consiglierei di parlare con tutti coloro che non sono al potere ovvero con gli intellettuali, con l’opposizione laica, con le persone che hanno votato gli islamisti e ora ne sono pentite. Sarebbe sufficiente, come è capitato a me due settimane fa all’Università internazionale Menendez Pelayo di Valencia, ascoltare la testimonianza di Amel Grami, professoressa tunisina di Storia delle Religioni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Manouba. Amel Grami è una delle intellettuali che nel post-rivoluzione del Gelsomino si è trasformata in un’attivista perché, come sostiene lei, “di questo c’è bisogno”. Da collega condivido appieno la sua scelta, anch’io a modo mio, con le mie possibilità, percepisco che in questo momento storico bisogna tralasciare i massimi sistemi per cercare di favorire la nascita di un futuro migliore per la sponda sud del Mediterraneo che si merita molto di più di governi islamisti, seppur democraticamente eletti.La testimonianza di Amel Grami mi ha portata dalla definizione di “autunno” arabo a quella di “inverno”. In ogni sua parola era tangibile la delusione e la disperazione di chi aveva creduto nel cambiamento e che ora non vedeva via d’uscita. La delusione della vittoria degli islamista di Al Nahdha, la delusione del tradimento di elementi legati alla sinistra che si sono alleati al partito al potere, l’amarezza nel vedere alcuni intellettuali predicare dalle scrivanie evitando di scendere in piazza, per non parlare di quelli che sono diventati conniventi con gli islamisti. Alla Grami sta molto a cuore la condizione della donna tunisina che dal 1956, grazie al Codice dello Statuto personale voluto da Habib Bourguiba, ha goduto di uno status unico nel mondo arabo islamico. Denuncia che gli “attori della politica post-rivoluzionaria hanno minimizzato i diritti delle donne poiché non sono prioritari”, denuncia il fatto che “le donne sono marginalizzate dai mezzi di comunicazione che evitano di parlare dei loro diritti”, denuncia il fatto che questo atteggiamento sia “condiviso dagli islamisti e da alcuni esponenti della sinistra”. Denuncia il fatto che “sempre più donne della classe media sono obbligate a indossare il velo per muoversi con i mezzi di trasporto pubblico onde evitare insulti e attacchi” e ricorda che il velo oggi a Tunisi “non è un simbolo, bensì le donne sono obbligate a indossarlo per proteggersi”. Denuncia il fatto che le associazioni di medici “assistono a sempre più donne accompagnate dai mariti”, che si iniziano a vedere bambine di quattro anni già velateLa testimonianza di Amel Grami tocca in seguito un altro tema che la riguarda da vicino in quanto docente universitaria e intellettuale. “Sempre più intellettuali, docenti universitari, giornalisti vengono accusati di apostasia, definiti dei miscredenti”. Ricorda che a Tunisi si è costituito un Comitato per la promozione del bene e il divieto del male, istituzione esistente sinora solo in Arabia Saudita, che ad esempio da mesi impedisce a Iqbal Gharbi, docente universitaria e direttrice responsabile dell’emittente radiofonica legata all’Università islamica della Zeitouna, di raggiungere il proprio posto di lavoro in quanto donna e apostata. Denuncia la latitanza del governo innanzi a ogni atto da parte dei salafiti in modo particolare innanzi alle manifestazioni, anche violente, nei confronti dell’Università in cui lei lavora, ormai da mesi nell’occhio del ciclone.

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