Usa: uccisi centinaia di bambini, ma i media non ne parlano | Tempi.it

aprile 16, 2013 Benedetta Frigerio

Sotto processo per pratiche al limite del sadismo, la sua vicenda non trova spazio sui grandi media. Tanto che viene diffuso un appello contro questa «censura squisitamente politica»

Si chiama Kermit Gosnel ed è un dottore statunitense che ha eseguito centinaia di aborti, attirando donne che non avrebbero potuto abortire. I testimoni dicono che il 40 per cento dei bambini uccisi avevano più di sei mesi. Moltissimi gli aborti oltre le 26 settimane.

IL PROCESSO SILENZIOSO. «Il caso del processo del dottor Kermit Gosnel ha tutti gli ingredienti della “tv da vedere”: un rispettato ex leader di un gruppo accusato di atti insospettabili; la morte di una giovane donna immigrata; un corteo di ex impiegati con testimonianze grafiche della morte atroce di più di 100 neonati; il coinvolgimento dell’avvocato per cui le accuse sarebbero mosse dal razzismo», così il Washington Times è fra i pochi quotidiani ad aver parlato del caso di Kermit Gosnel, medico di una clinica abortista di Philadelphia accusato di otto omicidi di bambini nati vivi, denunciando il silenzio della stampa e dei media. A parlare del processo, cominciato lo scorso 18 marzo, solo la Cnn con un breve servizio. Nessun commento invece dai canali nazionali come la Abc, la Cbs, la Nbc, la Msnbc o la Npr.

LE TESTIMONIANZE. Eppure gli assistenti di Gosnel hanno raccontato di quando i bambini venivano addirittura decapitati dopo che il medico tagliava loro la spina dorsale con il bisturi. O di bambini «ormai così grandi da poter camminare», come ha confessato con un’immagine la donna. Per non parlare di chi ha detto di aver sentito le urla dei bambini nati vivi dopo i tentativi di aborto falliti. Non solo, secondo i racconti il medico di colore era razzista e trattava le donne bianche con meno crudeltà delle nere. E a un infermiere che gli aveva chiesto il motivo delle sue intemperanze aveva risposto che «così va il mondo».
Ad aggiungere ingredienti sconcertanti la vecchia denuncia di una collaboratrice, mai considerata, al Dipartimento di Stato ora sotto accusa. Non sono servite nemmeno le testimonianze che normalmente attraggono i media. Una scelta che ha spinto la settimana scorsa venti leader di area conservatrice a lanciare un appello per porre fine a quello che chiamano il «blackout dei media» e la «censura squisitamente politica». Gli abusi dell’industria dell’aborto, rappresentata da Gosnell e dalla Planned Parenthood, sono notizie di grande rilievo nazionale in qualsiasi modo le si guardi, hanno detto.

LE PAURE DI CHI TACE. In effetti, gli unici a parlare del processo sono i media pro-life e quelli locali. Fra le tante voci quella di un editorialista dell’Atlantic di Boston, Conor Friedersdorf, che ha sottolineato come il caso metta in discussione tutti i punti che il pensiero abortista evita sempre di trattare: «Le regole interne alle cliniche, la legalizzazione dell’aborto a nascita parziale, le pene per chi non denuncia gli abusi, i termini di prescrizione per omicidi come quelli di cui è accusato Gosnell, la responsabilità del personale per il cattivo comportamento dei medici in cui lavorano». La vicenda ha numerosi elementi, «ciascuno dei quali rendono normalmente una storia importante». Mettendo da parte le convinzioni, continua il giornalista, «il valore della notizia è innegabile».
Perché non se ne stia parlando? «Ho le mie teorie – conclude Friedersdorf – Ma piuttosto che offrirle al termine di un lunga controversia, preferisco cominciare a domandarlo ad alcuni degli editori e degli scrittori che hanno scelto di tacere». Nell’attesa di conoscere le risposte di chi non ha voluto dedicare neppure un articoletto al processo di Gosnell, le testimonianze più recenti del processo aggiungono elementi aggravanti, parlando della somministrazione di droghe, di strumenti infetti usati sulle donne e di perforazioni dell’utero e delle viscere che avrebbero portato ad almeno due decessi (e non ad uno come inizialmente ipotizzato).

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