Virtù e follie delle Primavere

​«Godevano di percentuali di voto tra il 95 e il 98%. Avrebbero fatto invidia a Erich Honecker, il dittatore dell’ex Germania Est…» commenta Muriel Mirak-Weissbach, studiosa americana di origini armene, esperta in Medio Oriente, parlando dei vari despoti i cui regimi (in Egitto, Libia, Tunisia, Yemen), si sono dissolti nella «Primavera araba». Ne ha trattato nel volume appena uscito in Inghilterra Madmen at the Helm: Pathology and Politics in the Arab Spring («Pazzi al comando. Patologia e politica nella Primavera Araba», Ithaca Press, pp. 164, 25 sterline).

C’è dunque una follia tipica dei dittatori?
«La letteratura specialistica ha preso in esame i dittatori europei del XX secolo: Mussolini, Hitler, Stalin. In molti si evidenziano esperienze traumatiche infantili. Nel caso di Milosevic, tra i più studiati, c’è una catena di suicidi in famiglia. Con la mia ricerca ho messo a fuoco l’esistenza di traumi anche nelle vite dei leader arabi. Gheddafi, per esempio, ancora piccolissimo ebbe esperienza della battaglia di El Alamein e il suo primo ricordo è quello dei bombardamenti. Tutti i quattro dittatori caduti tra Tunisia e Yemen provengono da famiglie poverissime e sono usciti da condizioni di miseria facendosi strada, con la forza e con l’astuzia, nelle file militari (l’unica scuola che permette ai diseredati di emergere), dove sono entrati giovanissimi: lo yemenita Ali Abdullah Saleh sin dai 12 anni apprese a usare le armi e a uccidere. Sono percorsi personali che possono portare alla paranoia e al narcisismo, sindromi caratteristiche dei dittatori».

Prima vittime, poi carnefici…
«La violenza genera violenza, la frustrazione brama una rivalsa, l’umiliazione ambisce alla sopraffazione. Bisognerebbe trovare la via della crescita personale, della condivisione, del perdono. Ma quei dittatori sono vissuti in condizioni in cui tutto questo era totalmente assente. L’eccezione è Bashar al-Assad: famiglia importante, educazione nelle scuole migliori, laurea in Gran Bretagna, una carriera ben avviata di oculista, ama mostrarsi come padre esemplare che accompagna i figli a scuola la mattina…».

Poi che succede?
«Nel 1994 muore il fratello maggiore, erede designato di Hafez al-Assad: Bashar è subito richiamato in patria e addestrato per assumere il potere in quella che diviene la prima “presidenza a vita” dinastica del mondo arabo. E il padre esemplare si scopre dittatore: il volto da buon borghese si rivela una maschera dietro cui si nasconde una personalità violenta. Il problema è stato studiato da Hervey Cleckley in The Mask of Sanity (“La maschera della salute mentale”). Quando muore Hafez al-Assad, il primo discorso di Bashar spalanca una nuova prospettiva: propone un passaggio guidato verso la democrazia, la progressiva introduzione dei diritti civili e della libertà di parola. Ben presto sorgono giornali indipendenti, si formano circoli di intellettuali che si ripropongono di diffondere quella cultura senza la quale l’idea di democrazia resta vuota: tutti guardano Bashar come la persona con cui dialogare. Poi, nel giro di un annetto, i giornali vengono chiusi, sono arrestati e fatti tacere coloro che credevano in un’evoluzione democratica. Tuttavia la rivolta in corso in Siria è nata come movimento pacifico: ha origine da manifestazioni nonviolente per protestare contro la tortura di alcuni giovani perpetrata dalla milizia di regime. Soltanto dopo che alcuni militari si sono uniti alla protesta, essa è divenuta rivolta armata: e, in tal modo, ha perso la fibra morale che aveva consentito di contrapporre la fermezza della dignità alla cecità della forza. Allora sono subentrate le ingerenze straniere: il Qatar e l’Arabia Saudita forniscono soldi e armi ai rivoltosi, l’Iran e la Russia sostengono il regime. Dalla rivolta pacifica è sorta una guerra civile subito divenuta “guerra per procura” che vede coinvolte in via diretta o indiretta le potenze ex coloniali o neocoloniali».

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