Cristiani siriani: «Non lasceremo questo inferno» | Tempi.it

«Siamo figli di san Paolo. Non abbandoneremo la terra che ha bevuto il sangue dei nostri martiri». La fede di padre Hanna Jallouf e dei cristiani dell’Oronte, assediati dall’esercito siriano e usati come scudi umani dai ribelli «integralisti»

È appena arrivato a Damasco. Stavolta ce l’ha fatta. Padre Hanna Jallouf ci provava da un mese. Ora asciugato il sudore, ripulita la polvere della sua odissea siriana può indossare i paramenti, alzare il calice, recitare messa nella cappella del Memoriale di san Paolo. Qui iniziò la predicazione cristiana. Qui è tornato oggi il pastore Hanna. È sceso dall’Oronte, il fiume ribelle che dal Libano risale la Siria verso nord disegnando le vallate al confine con la Turchia. Lassù ha lasciato la sua comunità accerchiata, i suoi fedeli prigionieri di guerra e paura. «Sono il parroco superiore di Knaye e di un’altra missione. Lassù nella provincia di Idlib – racconta – siamo quasi 2.000 cristiani divisi fra le comunità francescane della Custodia di Terrasanta e quelle greco ortodosse, armene e protestanti. Siamo i discendenti dei primi cristiani, i figli della predicazione di san Paolo. Siamo i discendenti dei primi convertiti sulla strada per Apame e l’Antiochia. Siamo una presenza millenaria».

Da mesi quella presenza vive prigioniera. Circondata da violenza ed orrore. «È incominciato tutto quando i ribelli scesi dal confine turco hanno massacrato 83 soldati. È stata una strage terribile e io l’ho vista con i miei occhi. Hanno tagliato la testa al comandante e l’hanno issata sulla terra dell’orologio, poi ne hanno tagliate altre cinque e le hanno deposte davanti alla sede del partito. Ho visto cose che non dimenticherò mai, ma ho anche dovuto badare alla mia comunità. Ho incontrato il capo dei ribelli, ho negoziato, l’ho fatto salire in macchina sono andato a cercare assieme a lui i fedeli di cui avevamo perso le tracce».

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