di padre Paolo Nicelli
La vittoria di Mohammed Mursi e la sconfitta di Ahmad Shafik apre una pagina nuova per il Paese più religioso e culturalmente più avanzato del mondo islamico arabo contemporaneo. Vera o falsa riforma?
Quale futuro per l’Egitto? Questa è la domanda che possiamo leggere tra le righe degli articoli di giornale e tra le dichiarazioni più o meno diplomatiche rilasciate alla stampa dai vari leaders locali e internazionali nel “dopo elezioni”. La vittoria di Mohammed Mursi e la sconfitta di Ahmad Shafik, con la conseguente fuga di quest’ultimo accusato di corruzione (e probabilmente colpevole di essere troppo legato a certi ambienti del deposto regime), aprono scenari sconcertanti e non ben definibili. Azzardarsi quindi a dare dei giudizi “definitivi” su ciò che sarà il futuro di questo Paese, poterebbe essere troppo avventato, per via degli avvenimenti ancora in piena evoluzione. Tuttavia, la domanda rimane aperta: quale futuro per l’Egitto?
Allo stato dei fatti abbiamo un leader dei Fratelli Musulmani come presidente, senza reali poteri, ma determinato a governare il Paese. Il punto debole sta nel fatto che Mursi non può avere approvati i suoi disegni di legge poiché il Parlamento è stato sciolto con una sentenza costituzionale, emessa dalla Corte Costituzionale su pressione dell’esercito. In più Mursi non ha ancora un Primo ministro per governare. Eppure il neo-Presidente dà già messaggi di voler rivedere alcuni trattati internazionali tra cui quello di Camp David, considerato troppo favorevole ad Israele. Certo è che Hamas, la Jihad islamica, i Salafiti e alcuni altri rappresentanti del radicalismo islamico inneggiano alla nuova “inaspettata” svolta della “rivoluzione” egiziana, come conferma di una volontà popolare e forse anche “divina” di voler riaffermare una leadership islamista al potere del Paese più religioso e culturalmente più avanzato del mondo islamico arabo contemporaneo.
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