Il nodo del seminario ortodosso a Istanbul – Vatican Insider

Prosegue il contenzioso decennale fra il Patriarcato ecumenico e il governo islamico

Marco Tosatti

Qualche tempo fa il Consiglio delle Fondazione della Direzione Generale per le Fondazioni di Turchia ha restituito 470 acri di terra al seminario di Halki, una delle maggiori istituzioni formative del clero del Paese, il luogo in cui circa mille sacerdoti del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli hanno ricevuto la loro ordinazione dal 1844 fino al giorno in cui il governo turco ne ha deciso la chiusura, nel 1971.

 

Quella decisione fu presa in base a una legge del 1961, che stabiliva che “solo alle Forze armate turche e alla polizia era permesso aprire collegi privati”. Ma a dispetto della restituzione delle terre, il seminario rimane chiuso. Un motivo di contenzioso decennale fra il Patriarcato ecumenico e il governo islamico di Tayyp Erdogan; e un segnale certamente non positivo nel quadro del trattamento delle minoranze etniche e religiose della Turchia.

 

La Scuola Teologica, chiusa nel 1971, è collegata al Patriarcato Ecumenico, e come dice Orhan Kemal Cengiz, avvocato dei Diritti Umani in Turchia, “praticamente ogni giorno per i 42 anni che sono trascorsi da allora la Comunità ortodossa è stata in attesa della notizia della riapertura della Scuola, ma finora senza risultato”. Il nome viene dall’isola di Halki, nel Mar di Marmara, e ha preparato per oltre un secolo sacerdoti destinati a servire non solo nella Comunità ortodossa turca, ma anche nelle centinaia di chiese in tutto il mondo collegate al Patriarcato Ecumenico.

 

Dodici dei suoi membri sono divenuti Patriarchi; la sua chiusura di conseguenza ha reso la lotta per la sopravvivenza del Patriarcato ancora più dura. La vita per gli ortodossi in Turchia è stata dura, sin dalla fondazione della Repubblica. L’esistenza del Patriarcato è stata salvata dal Trattato di Losanna. E dal momento che gli articoli 40 e 42 del Trattato impongono un trattamento eguale per musulmani e non musulmani, la chiusura della Scuola ne è una violazione. Il fatto è avvenuto nel momento in cui la tensione fra Grecia e Turchia era al suo massimo, per la questione di Cipro.

 

L’ottimismo è tornato a prevalere nel 2002, con l’arrivo al potere del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) di Erdogan, che in effetti ha perseguito quella che forse finora è stata la politica meno ostile verso le minoranze nella storia della Turchia repubblicana. L’AKP non ha mai dichiarato che la scuola non verrà riaperta; anzi, in varie circostanze, pubbliche e private, personalità del Partito si sono espressi per la riapertura. E questo fin dal 2003, quando il ministro dell’Istruzione Huseyn Celik disse che Halki avrebbe riaperto i battenti.

 

Anche la politica internazionale se ne è occupata. L’alleato storico di Ankara, gli Stati Uniti, non hanno perso occasione per consigliare la riapertura. Lo ha fatto nel 1999 il presidente Clinton, che visitò Halki e suggerì al suo omologo Suleyman Demirel di riaprirla. E il Congresso USA lo ha ripetuto in varie occasioni. Anche Barack Obama nel suo discorso al Parlamento turco confermò questa linea, appoggiata attivamente dall’Unione Europea e da numerosi Paesi del vecchio continente.

 

Senza risultato. Perché Rivela Orhan Gemal Cengiz, Erdogan “vuole che due moschee siano aperte ad Atene, come contropartita per la riapertura del seminario. Questa richiesta priva di senso dimostra che il primo ministro sta semplicemente perpetuando l’atteggiamento mentale dei suoi predecessori, secondo cui i non musulmani sono visti come ‘stranieri. L’abate del seminario Elphidophoros Lambriniadis ne ha sottolineato l’incoerenza”. Lambriniadis ha dichiratao: “Se fossimo cittadini greci, la richiesta potrebbe avere più senso. Ma noi siamo cittadini turchi”. Così Halki resta chiusa, e la Comuntà aspetta. Non si capisce però perché il Patriarcato abbia scelto, per il momento, di non seguire la via legale, che in altri casi ha portato buoni frutti.

Fonte: Il nodo del seminario ortodosso a Istanbul – Vatican Insider.

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