In America c’è un clone di Boncinelli: è lo scientista Alex Rosenberg

Il manipolo di atei scientisti internazionali sta cercando di rinnovarsi dopo la morte del compianto Christopher Hitchens. Ormai i pensionati Piergiorgio Odifreddi, Margherita HackRichard Dawkins e Daniel Dennet hanno fatto il loro tempo ed è giusto chiuderli nel dimenticatoio dei “nipoti ritardati del positivismo” di fine ’900. Si è così fatto avanti il 66enne Alex Rosenberg, docente di filosofia presso la Duke University, con il suo libro “Guide The Atheist di Reality” (Norton & Company 2011)

Giusto per fare un esempio, ecco alcune affermazioni fatte da Rosenberg: “Esiste un dio? No. Qual è la natura della realtà? Quello che la fisica dice che è. “Qual è lo scopo dell’universo?” Nessuno scopo. “Qual è il significato della vita?” Nessun significato. “Perché sono qui?” Stupida fortuna. “C’è un anima? E’ immortale?” Stai scherzando? “C’è il libero arbitrio?” Neanche per sogno! “Qual è la differenza tra giusto e sbagliato, bene e male?” Non vi è alcuna differenza morale tra di loro. “Perché dovrei essere morale?” Perché ti fa sentire meglio “Ha la storia qualche significato o scopo?” E’ piena di strepito e di furore, ma non significa nulla. Leon Wieseltier ha completamente stroncato  il libro in un editoriale su “The New Republic”, definendolo il “peggiore del 2011″: «è un catechismo per le persone che credono di essersi emancipate dai catechismi. La fede che dogmaticamente espone è lo scientismo. Si tratta di un bell’esempio di come la religione della scienza può trasformare un uomo intelligente in uno stupido». Il pamphlet si basa sul classico assunto scientista: «c’è solo un modo per acquisire conoscenze, e la modalità è quella della scienza», in particolare la fisica. Ma la cosa più originale è che l’autore del libro sa benissimo quale concezione estrema sta portando avanti, e ne è orgoglioso«Lo scientismo comincia con l’idea che i fatti fisici risolvono tutti i fatti, compresi quelli biologici», scrive Rosenberg. «Questi a loro volta devono fissare i fatti umani, quelli su di noi, la nostra psicologia e la nostra moralità. Tutto ciò che ci rimane è saper scegliere il vino». Il commento allibito dell’editorialista di “The New Republic” è prevedibile: «In questo modo la scienza si trasforma in una superstizione».

Non solo nel Regno Unito, ma anche in America esiste, dunque, un clone del 71enne Edoardo Boncinelli, che su “Il Corriere della Sera”di qualche giorno fa ha scritto un articolo intitolato: «Evviva l’umiltà della scienza: l’unica strada per esplorare l’ignoto», e -citando le parole del suo amico scientista 77enne Marc Augé-: «Gli eccessi del senso, della fede e della volontà derivano tutti da un riferimento, da di principio, arbitrariamente postulato, alla totalità; rifiutano l’ignoto, cioè il reale. Nel cristianesimo la nozione di mistero nasce da un corto circuito del pensiero, da un atto di forza intellettuale che porta l’ignoto nel campo del noto, ricorrendo a nozioni come la promessa, l’annuncio, la rivelazione. Di fronte a queste dimostrazioni di superbia, la scienza è un modello di umiltà».  Tornando al nostro Rosenberg, sentire nel 2012 ancora dire che «tutta la realtà si spiega in fermioni e bosoni, la fisica ha risolto tutta la verità della realtà», vuol dire essere trasportati nel più torbido positivismo oscurantista. E’ fin troppo facile notare a Rosenberg che quando afferma: «i significati che diamo sono effettuati dai nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, ma essi sono solo castelli di sabbia che costruiamo per aria», di fatto sta tagliando il ramo su cui si è seduto e sopratutto ha fornito il migliore motivo al suo eventuale lettore per chiudere e buttare via il libro, pieno di suoi “pensieri”. Da filosofo, inoltre, afferma che «le scienze umanistiche sono “divertenti”, ma sono “morte scientificamente”», e anche in questo caso -per lo stesso motivo- ha offerto al preside del suo dipartimento di scienze umanistiche un ottimo motivo per licenziarlo. Perché tenere una persona che si occupa di nulla?

Una bella stroncatura è arrivata anche dal docente di filosofia presso la Columbia University, Philip Kitcherche ha parlato del libro sulle  colonne del New York Times”. Anche per lui siamo di fronte ad un folle: «Rosenberg punta più in alto», di Hitchens e Richard Dawkins: «gli obiettivi che considera sono le grandi questioni, domande circa la moralità, lo scopo e la coscienza. Le risposte sono tutte dentro la convinzione che la scienza possa risolvere tutte le questioni, questo è noto come “scientismo” -un’etichetta tipicamente usata in senso peggiorativo- ma per Rosenberg è un distintivo d’onore». Kitcher definisce il libro uno “scientismo evangelico”, che si basa su tre pilastri: la microfisica determina tutto quello che c’è sotto il sole, la selezione naturale darwiniana spiega tutto il comportamento umano e le neuroscienze rendono illusoria la morale e lo scopo della realtà.  Kitcher fa educatamente notare che «le conclusioni sono premature», e aggiunge: «il darwinismo allegro di Rosenberg non e più convincente della sua fisica imperialista, e i suoi racconti sulle origini evolutive del tutto, dalle nostre passioni per i racconti, della nostra gentilezza degli uni verso gli altri, sono atavici di una sociobiologia di un’era precedente, libera dalla precauzione metodologica che gli studenti dell’evoluzione umana hanno imparato»

Il filosofo Kitcher ha quindi continuato: «gran parte del libro di Rosenberg è psicologia evolutiva sui trampoli», lo stesso vale per le «sue discussioni neuroscientifiche». Rosenberg afferma che la scienza ha risposto alle grandi domande della vita, ma «le risposte sono la sue, non quelle della scienza, e si basano su interpretazioni e argomentazioni sintetiche […], è estremo scientismo». Il bell’articolo sul “New York Times” è ricorda ovviamente che «esistono domande tanto profonde che vanno ben oltre l’ambito delle scienze naturali. La fede in Dio, la convinzione dell’esistenza del libero arbitrio o del senso della vita, non sono soggetti a revisione da parte delle evidenze empiriche […]. Il rispetto per la scienza e l’entusiasmo di imparare da essa sono pienamente compatibili col rifiuto dello scientismo. La sfida non è quello di decidere chi ha le intuizioni più importanti, ma di comprendere che la conoscenza che abbiamo della realtà è limitata, fallibile e frammentaria».

Simone Aguado

Fonte: UCCR.

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